Archive for aprile, 2010
Poiché sono donna, nessuno, più di me,
conosce il silenzio del tempo che muta,
le parole del conforto, il dolore dell’abbandono.
So della caducità della vita e dell’illusione dell’apparenza,
ma intuisco più di altri l’eternita’
di un gesto compiuto nella bellezza.
Poiché sono donna,
porto su di me il peso dei reietti,
e di tutti coloro che in ogni epoca furono emarginati.
Sul mio viso si scorgono ancora
le sofferenze delle donne che mi hanno preceduto.
Nel mio grembo, la pienezza di tutte coloro che hanno procreato.
Poiché sono donna, so cos’è il dono.
E ho imparato, nel tempo, a vivere nella sua dimensione.
Raramente sono stata ascoltata, più spesso osservata
con brama, con sospetto, con disprezzo,
con risoluta indifferenza.
La mia voce dice di voci mai considerate.
La mia penna di menti che, per loro natura e per la propria diversità,
non sono state comprese.
Poiché sono donna sogno,
e sognando sperimento l’esistere di differenti nature.
Nella mia complessità nutro in silenzio
il seme del caos da cui proveniamo
e che non potrò mai, poiché sono una donna,
fingere di non aver avvertito.
Giorgia Vezzoli
LA BIBBIA DI GERUSALEMME
ANTICO TESTAMENTO
I LIBRI SAPIENZALI
Cantico dei Cantici
“Cantico dei cantici” , che è di Salomone.
“Mi baci con i baci della sua bocca! Sì, le tue tenerezze sono più dolci del vino. Per la fragranza
sono inebrianti i tuoi profumi, profumo olezzante è il tuo nome, per questo le giovinette ti
amano. Attirami dietro a te, corriamo! M’introduca il re nelle sue stanze: gioiremo e ci rallegreremo
per te, ricorderemo le tue tenerezze più del vino. A ragione ti amano!
“Bruna sono ma bella, figlie di Gerusalemme, come le tende di Kedar, come i padiglioni di
Salma. Non state a guardare che sono bruna, poiché mi ha abbronzato il sole. I figli di mia
madre si sono sdegnati con me: mi hanno messo a guardia delle vigne; la mia vigna, la mia,
non l’ho custodita. Dimmi, o amore dell’anima mia, dove vai a pascolare il gregge, dove lo fai
riposare al meriggio, perché io non sia come vagabonda dietro i greggi dei tuoi compagni.
“Se non lo sai, o bellissima tra le donne, segui le orme del gregge e mena a pascolare le tue caprette
presso le dimore dei pastori. Alla cavalla del cocchio del faraone io ti assomiglio, amica
mia. Belle sono le tue guance fra i pendenti, il tuo collo fra i vezzi di perle. Faremo per te pendenti
d’oro, con grani d’argento. Mentre il re è nel suo recinto, il mio nardo spande il suo profumo.
Il mio diletto è per me un sacchetto di mirra, riposa sul mio petto. Il mio diletto è per
me un grappolo di cipro nelle vigne di Engàddi. Come sei bella, amica mia, come sei bella! I
tuoi occhi sono colombe. Come sei bello, mio diletto, quanto grazioso! Anche il nostro letto è
verdeggiante. Le travi della nostra casa sono i cedri, nostro soffitto sono i cipressi.
Io sono un narciso di Saron, un giglio delle valli. Come un giglio fra i cardi, così la mia amata
tra le fanciulle. Come un melo tra gli alberi del bosco, il mio diletto fra i giovani. Alla sua ombra,
cui anelavo, mi siedo e dolce è il suo frutto al mio palato. Mi ha introdotto nella cella del
vino e il suo vessillo su di me è amore. Sostenetemi con focacce d’uva passa, rinfrancatemi con
pomi, perché io sono malata d’amore. La sua sinistra è sotto il mio capo e la sua destra mi abbraccia.
Io vi scongiuro, figlie di Gerusalemme, per le gazzelle o per le cerve dei campi: non
destate, non scuotete dal sonno l’amata, finché essa non lo voglia.
“Una voce! Il mio diletto! Eccolo, viene saltando per i monti, balzando per le colline. Somiglia
il mio diletto a un capriolo o ad un cerbiatto. Eccolo, egli sta dietro il nostro muro; guarda
dalla finestra, spia attraverso le inferriate. Ora parla il mio diletto e mi dice: «Alzati, amica
mia, mia bella, e vieni! Perché, ecco, l’inverno è passato, è cessata la pioggia, se n’è andata;i
fiori sono apparsi nei campi, il tempo del canto è tornato e la voce della tortora ancora si fa
sentire nella nostra campagna. Il fico ha messo fuori i primi frutti e le viti fiorite spandono
fragranza. Alzati, amica mia, mia bella, e vieni! O mia colomba, che stai nelle fenditure della
roccia, nei nascondigli dei dirupi, mostrami il tuo viso, fammi sentire la tua voce, perché la
tua voce è soave, il tuo viso è leggiadro». Prendeteci le volpi, le volpi piccoline che guastano le
vigne, perché le nostre vigne sono in fiore. Il mio diletto è per me e io per lui. Egli pascola il
gregge fra i figli. Prima che spiri la brezza del giorno e si allunghino le ombre, ritorna, o mio
diletto, somigliante alla gazzella o al cerbiatto, sopra i monti degli aromi.
“ Sul mio letto, lungo la notte, ho cercato l’amato del mio cuore; l’ho cercato, ma non l’ho trovato.
«Mi alzerò e farò il giro della città; per le strade e per le piazze; voglio cercare l’amato del mio
cuore». L’ho cercato, ma non l’ho trovato. Mi hanno incontrato le guardie che fanno la ronda:
“Avete visto l’amato del mio cuore?”. Da poco le avevo oltrepassate, quando trovai l’amato
del mio cuore. Lo strinsi fortemente e non lo lascerò finché non l’abbia condotto in casa di mia
madre, nella stanza della mia genitrice. Io vi scongiuro, figlie di Gerusalemme, per le gazzelle
e per le cerve dei campi: non destate, non scuotete dal sonno l’amata finché essa non lo voglia.
“Come sei bella, amica mia, come sei bella! Gli occhi tuoi sono colombe, dietro il tuo velo. Le
tue chiome sono un gregge di capre, che scendono dalle pendici del Gàlaad. I tuoi denti come
un gregge di pecore tosate, che risalgono dal bagno; tutte procedono appaiate, e nessuna è
senza compagna. Come un nastro di porpora le tue labbra e la tua bocca è soffusa di grazia;
come spicchio di melagrana la tua gota attraverso il tuo velo. Come la torre di Davide il tuo
collo, costruita a guisa di fortezza. Mille scudi vi sono appesi, tutte armature di prodi. I tuoi
seni sono come due cerbiatti, gemelli di una gazzella, che pascolano fra i gigli.
Prima che spiri la brezza del giorno e si allunghino le ombre, me ne andrò al monte della
mirra e alla collina dell’incenso.
Tutta bella tu sei, amica mia, in te nessuna macchia. Vieni con me dal Libano, o sposa, con me
dal Libano, vieni! Osserva dalla cima dell’Amana, dalla cima del Senìr e dell’Èrmon, dalle tane
dei leoni, dai monti dei leopardi. Tu mi hai rapito il cuore, sorella mia, sposa, tu mi hai rapito
il cuore con un solo tuo sguardo, con una perla sola della tua collana! Quanto sono soavi
le tue carezze, sorella mia, sposa, quanto più deliziose del vino le tue carezze. L’odore dei tuoi
profumi sorpassa tutti gli aromi. Le tue labbra stillano miele vergine, o sposa, c’è miele e latte
sotto la tua lingua e il profumo delle tue vesti è come il profumo del Libano. Giardino chiuso
tu sei, sorella mia, sposa, giardino chiuso, fontana sigillata. I tuoi germogli sono un giardino di
melagrane, con i frutti più squisiti, alberi di cipro con nardo, nardo e zafferano, cannella e
cinnamomo con ogni specie d’alberi da incenso; mirra e aloe con tutti i migliori aromi. Fontana
che irrora i giardini, pozzo d’acque vive e ruscelli sgorganti dal Libano.
“Lèvati, aquilone, e tu, austro, vieni, soffia nel mio giardino si effondano i suoi aromi. Venga il
mio diletto nel suo giardino e ne mangi i frutti squisiti.
“Son venuto nel mio giardino, sorella mia, sposa, e raccolgo la mia mirra e il mio balsamo;
mangio il mio favo e il mio miele, bevo il mio vino e il mio latte. Mangiate, amici, bevete; inebriatevi,
o cari.
“Io dormo, ma il mio cuore veglia. Un rumore! È il mio diletto che bussa: «Aprimi, sorella
mia, mia amica, mia colomba, perfetta mia; perché il mio capo è bagnato di rugiada, i miei
riccioli di gocce notturne». «Mi sono tolta la veste; come indossarla ancora? Mi sono lavata i
piedi; come ancora sporcarli?».
Il mio diletto ha messo la mano nello spiraglio e un fremito mi ha sconvolta.
Mi sono alzata per aprire al mio diletto e le mie mani stillavano mirra, fluiva mirra dalle mie
dita sulla maniglia del chiavistello. Ho aperto allora al mio diletto, ma il mio diletto già se n’era
andato, era scomparso. Io venni meno, per la sua scomparsa. L’ho cercato, ma non l’ho
trovato, l’ho chiamato, ma non m’ha risposto. Mi han trovato le guardie che perlustrano la
città; mi han percosso, mi hanno ferito, mi han tolto il mantello le guardie delle mura. Io vi
scongiuro, figlie di Gerusalemme, se trovate il mio diletto, che cosa gli racconterete? Che sono
malata d’amore!
“Che ha il tuo diletto di diverso da un altro, o tu, la più bella fra le donne? Che ha il tuo diletto
di diverso da un altro, perché così ci scongiuri?
“Il mio diletto è bianco e vermiglio, riconoscibile fra mille e mille. Il suo capo è oro, oro puro,
i suoi riccioli grappoli di palma, neri come il corvo. I suoi occhi, come colombe su ruscelli di
acqua; i suoi denti bagnati nel latte, posti in un castone. Le sue guance, come aiuole di balsamo,
aiuole di erbe profumate; le sue labbra sono gigli, che stillano fluida mirra. Le sue mani
sono anelli d’oro, incastonati di gemme di Tarsis. Il suo petto è tutto d’avorio, tempestato di
zaffiri. Le sue gambe, colonne di alabastro, posate su basi d’oro puro. Il suo aspetto è quello
del Libano, magnifico come i cedri. Dolcezza è il suo palato; egli è tutto delizie! Questo è il mio
diletto, questo è il mio amico, o figlie di Gerusalemme.
“Dov’è andato il tuo diletto, o bella fra le donne? Dove si è recato il tuo diletto, perché noi lo
possiamo cercare con te?
Il mio diletto era sceso nel suo giardino fra le aiuole del balsamo a pascolare il gregge nei
giardini e a cogliere gigli. Io sono per il mio diletto e il mio diletto è per me; egli pascola il
gregge tra i gigli.
“Tu sei bella, amica mia, come Tirza, leggiadra come Gerusalemme, terribile come schiere a
vessilli spiegati. Distogli da me i tuoi occhi: il loro sguardo mi turba. Le tue chiome sono come
un gregge di capre che scendono dal Gàlaad.
I tuoi denti come un gregge di pecore che risalgono dal bagno. Tutte procedono appaiate e
nessuna è senza compagna. Come spicchio di melagrana la tua gota, attraverso il tuo velo.
Sessanta sono le regine, ottanta le altre spose, le fanciulle senza numero. Ma unica è la mia colomba
la mia perfetta, ella è l’unica di sua madre, la preferita della sua genitrice. L’hanno vista
le giovani e l’hanno detta beata, le regine e le altre spose ne hanno intessuto le lodi. «Chi è
costei che sorge come l’aurora, bella come la luna, fulgida come il sole, terribile come schiere a
vessilli spiegati?». Nel giardino dei noci io sono sceso, per vedere il verdeggiare della valle, per
vedere se la vite metteva germogli, se fiorivano i melograni. Non lo so, ma il mio desiderio mi
ha posto sui carri di Ammi-nadìb.
Volgiti, volgiti, Sulammita, volgiti, volgiti: vogliamo ammirarti». «Che ammirate nella Sulammita
durante la danza a due schiere?». «Come son belli i tuoi piedi nei sandali, figlia di
principe! Le curve dei tuoi fianchi sono come monili, opera di mani d’artista. Il tuo ombelico è
una coppa rotonda che non manca mai di vino drogato. Il tuo ventre è un mucchio di grano,
circondato da gigli.
“I tuoi seni come due cerbiatti, gemelli di gazzella. Il tuo collo come una
torre d’avorio; i tuoi occhi sono come i laghetti di Chesbòn, presso la porta di Bat-Rabbìm; il
tuo naso come la torre del Libano che fa la guardia verso Damasco. Il tuo capo si erge su di te
come il Carmelo e la chioma del tuo capo è come la porpora; un re è stato preso dalle tue trecce
». Quanto sei bella e quanto sei graziosa, o amore, figlia di delizie! La tua statura rassomiglia
a una palma e i tuoi seni ai grappoli. Ho detto: «Salirò sulla palma, coglierò i grappoli di
datteri; mi siano i tuoi seni come grappoli d’uva e il profumo del tuo respiro come di pomi».
“«Il tuo palato è come vino squisito, che scorre dritto verso il mio diletto e fluisce sulle labbra
e sui denti! Io sono per il mio diletto e la sua brama è verso di me. Vieni, mio diletto, andiamo
nei campi, passiamo la notte nei villaggi. Di buon mattino andremo alle vigne; vedremo se
mette gemme la vite, se sbocciano i fiori, se fioriscono i melograni: là ti darò le mie carezze! Le
mandragore mandano profumo; alle nostre porte c’è ogni specie di frutti squisiti, freschi e
secchi; mio diletto, li ho serbati per te». Oh se tu fossi un mio fratello, allattato al seno di mia
madre! Trovandoti fuori ti potrei baciare e nessuno potrebbe disprezzarmi. Ti condurrei, ti
introdurrei nella casa di mia madre; m’insegneresti l’arte dell’amore. Ti farei bere vino aromatico,
del succo del mio melograno. La sua sinistra è sotto il mio capo e la sua destra mi abbraccia.
Io vi scongiuro, figlie di Gerusalemme, non destate, non scuotete dal sonno l’amata, finché
non lo voglia. Chi è colei che sale dal deserto, appoggiata al suo diletto? Sotto il melo ti ho svegliata;
là, dove ti concepì tua madre, là, dove la tua genitrice ti partorì. Mettimi come sigillo
sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio; perché forte come la morte è l’amore, tenace come
gli inferi è la passione: le sue vampe son vampe di fuoco, una fiamma del Signore1! Le grandi
acque non possono spegnere l’amore né i fiumi travolgerlo. Se uno desse tutte le ricchezze della
sua casa in cambio dell’amore, non ne avrebbe che dispregio.
Il Cantico di Salomone
o Cantico dei cantici deriva il proprio nome da un’espressione ebraica che si
potrebbe tradurre con “cantico sublime”.
Attribuito a re Salomone, il libro sembra sia stato scritto tra il IV e il III secolo a. C., mentre la
C. E .I lo attribuisce ad un autore ignoto più antico (tra il VI e il IV sec. a.C.)
Qui troviamo inaspettatamente un argomento squisitamente profano (la passione amorosa), espresso
e descritto in maniera molto franca inserito tra i libri dell’Antico testamento; la letteratura religiosa
ebraica(ad esempio il Talmud), e soprattutto quella medievale consideravano il Cantico dei cantici
un dialogo allegorico tra Dio e Israele, in cui Dio rappresentava l’amante e Israele l’amato.
La stessa cosa ha ritenuto di fare la dottrina del cristianesimo interpretando il libro come il rapporto
di Dio con la Chiesa o come un dialogo che illustra l’amore mistico di Gesù per la sua sposa, la
Chiesa o la comunità dei fedeli.
La C.E.I. così commenta il Cantico dei Cantici nell’introduzione:
“Lo sposo del poema è dunque Dio e la sposa Israele; poiché l’amore di Dio per il suo popolo
eletto si prolunga nell’amore di Cristo per la sua Chiesa, lo sposo è Cristo e la sposa è la Chiesa.
Per altri la sposa è la Vergine Maria o l’anima cristiana.
In tempi più recenti il breve poema viene semplicemente considerato un dialogo tra due sposi o,
forse tra Salomone ed una fanciulla di campagna.
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Questo poema è decisamente un testo libero, pulito, senza agganci con guerre, delitti, peccati, genocidi, forme
maniacali ebraiche di conquista delle terre, di colpe vere o false, di ire di Dio e di suoi abbandoni o
di divini provvedimenti positivi per aver vinto una qualche guerra.
E’ un bellissimo poema, una lunga lirica, delicata e precisa nelle misure prese per poter dire e non
dire.
Anzi il pudore con cui la donna si esprime si contrappone alla dolce amorevolezza ma ben determinata
dell’uomo che la desidera fisicamente e che non usa solo allusioni ma lo dice con molta
franchezza.
Quello che
conta è la bellezza e l’intensità dei sentimenti che animano i protagonisti che si dichiarano l’un
l’altro il proprio amore.
quell’amore che
alcuni vogliono chiamare profano
mentre per me è amore puro (intendo proprio quello che si completa
nell’atto fisico del sesso pur non essendo solo sesso) che è sempre e solo “sacro”,
è il vero motore
puro per l’umanità.
Esiste solo un altro amore così puro nella realtà della storia dell’uomo:
l’amore della madre per il
figlio che mette al mondo.
Ed ecco che ne consegue una deduzione quasi automatica: l’amore è
donna,
donna come compagna
ma prima (ed anche dopo) l’amore è maternità.
Perché la Chiesa allora non si è limitata a vedere in questo testo
una bellissima celebrazione dell’amore umano?
“Umano” e non “profano”.
Questa contrapposizione tra “amore sacro” e “amore profano” è già di per sé un sopruso per non dire
che è una bestemmia: Dio ha creato l’uomo e la donna perché unendosi possano nell’amore perpetuare
la vita che Lui ha posto all’inizio.
Non solo.
Ma visto che Dio ci ha fatto dono anche del piacere è un sopruso per non dire una bestemmia
anche la negazione che la Chiesa continua a fare del piacere sessuale.
Il piacere sessuale. Uno dei doni più belli elargiti dal Signore.
Il dono materiale più bello che il buon Dio ha fatto alle sue creature, è senza ombra di dubbio il piacere sessuale. Dono materiale che alle volte, a mio parere, diventa anche spirituale. Ed anzi, colgo l’occasione per ringraziare il Signore d’avermelo concesso. Considerato il valore immenso del dono, sarebbe davvero sbagliato ritenere che al Padreterno possa far piacere che una sua creatura ci rinunci, senza una giusta ragione. Sarebbe un atto di scortesia e ingratitudine. Ora, il Vangelo ci dice che Maria concepì il Bambinello senza avere avuto rapporti con Giuseppe. All’angelo, infatti, che annuncia la nascita di Gesù, Maria risponde: “Come avverrà questo, poiché io non conosco uomo?” (Lc 1,34). E quindi, se crediamo al Vangelo, dobbiamo credere anche al concepimento di Gesù senza collaborazione umana. Fiumi di parole, però, sono stati fatti scorrere per dimostrare che Maria anche in seguito non abbia avuto rapporti con lo sposo. Si è sostenuto che quel “non conosco uomo” manifesti il proposito di Maria di rimanere vergine. Ovviamente nessuno si è chiesto mai se alla Madonna potesse far piacere che si facessero interminabili discussioni sulla sua verginità e persino sul suo imene. Eppure così è stato, a cominciare dal Concilio Lateranense (649) fino al Concilio Vaticano II. Una vera mancanza di riguardo e di delicatezza. Ma è inconcepibile che proprio Maria, creatura prediletta da Dio, abbia rinunciato per sempre, senza ragione, giacché era sposata ed aveva un figlio, ad uno tra i doni più belli elargiti dal Signore.
Miriam Della Croce
(Santa Teresa d’Avila, Autobiografia, XXIX, 13)
Ieri ho visto “E’ complicato”. Il film è molto intenso!
Quando si divorzia il rapporto si sgretola perché tutti e due non si ha più voglia di stare insieme, ma in genere il rapporto d’amore non è totalmente esaurito e quindi possono esserci episodi sporadici di incontri fisici travolgenti con l’ex compagno, ma le donne, nel mio caso è stato così, tagliano ogni possibilità di incontri a due, soprattutto se ci sono figli. Segue, almeno per la donna, è successo a me come alla protagonista del film, un periodo di dolore molto lungo, durante il quale prima ci si cura le ferite e solo molto più tardi si riesce a raggiungere un certo equilibrio.
Con la consapevolezza raggiunta difficilmente poi ci si accontenta di un rapporto qualsiasi, tanto per non stare più sole.
M. Streep è bravissima a rappresentare le emozioni, le lacerazioni, i sensi di colpa e poi l’esplosione della gioia, della passione, della libertà di vivere il desiderio di sé, nonostante i figli.
Viviamo in un contesto sociale che non ci permette di vivere veramente.
Mi chiedo che male ci sarebbe se ogni tanto ci lasciassimo andare e ci permettessimo di vivere i nostri desideri.
Saremmo solo un po’ più felici.