Archive for giugno, 2010
l’altro giorno, leggendo la sua intervista sul Corriere della Sera, in cui dichiarava che l’ASTENSIONE OBBLIGATORIA DOPO IL PARTO è un privilegio, sono rimasta basita.
Per capire che Lei di educazione ne capisse poco, non era necessaria la laurea in pedagogia, che io possiedo e Lei no, o i tre corsi post laurea, che io possiedo e Lei no, visto quello che sta combinando alla scuola statale.
Ma almeno speravo avesse competenze giuridiche, essendo Lei avvocato ed io no.
Certo, dato che Lei, ora paladina della regionalizzazione, si è abilitata in “zona franca” (quel di Reggio Calabria) perché più facile (come da Lei con un’ingenuità e candore imbarazzante affermato), lo si poteva supporre.
E allora, prima le faccio una piccola lezione di diritto, e poi parliamo d’educazione.
L’astensione dopo il parto, sulla quale Lei oggi con tanta leggerezza motteggia, è definita OBBLIGATORIA ed è un diritto inalienabile previsto da quelle leggi per cui donne molto più in gamba di Lei e di me hanno combattuto strenuamente, a tutela delle lavoratrici madri.
Discorso diverso è il congedo parentale, di cui si può fruire, dopo i tre mesi di vita del bambino, per un totale di 180 giorni, solo in parte retribuiti integralmente.
Ovviamente per persone come Lei, con un reddito di oltre 150.000 euro l’anno, pari quasi a quello del governatore della California Arnold Schwarzenegger, discutere di retribuzione in questo caso più che un privilegio è un’eresia.
Ovviamente Lei non può immaginare, perché può permettersi tate, tatine, nido “aziendale” al ministero, ma LA GENTE NORMALE, che Lei dice di comprendere, ha a che fare con file d’attesa interminabili per nidi insufficienti e costi per babysitter superiori a quelli della propria retribuzione.
Voglio dirle una cosa però, consapevole che le mie affermazioni susciteranno più clamore delle sue, DA PEDAGOGISTA E DA ESPERTA, affermo che fruire dell’astensione OBBLIGATORIA oltre che un DIRITTO è anche un DOVERE, prima di tutto morale e poi anche sociale.
Come vede ho più volte sottolineato la parola OBBLIGATORIA, che già di per se dovrebbe suggerirle qualcosa. Ma preferisco spiegarmi meglio, anche se è necessaria una piccola premessa doverosa.
Lei, come tante donne, crede che l’essere madre, anche se nel suo caso da pochi giorni, Le dia la competenza per parlare e pontificare su educazione e sviluppo del bambino, ai quali grandi studiosi hanno dedicato anni e anni di studio.
In realtà, per dibattere sulla pedagogia, oggi chiamata più propriamente SCIENZE DELL’EDUCAZIONE, bisogna avere competenze specifiche, che dalle sue dichiarazione Lei non sembra possedere.
Le potrei parlare della teoria sull’attaccamento di Bowlby, dell’imprinting, e di etologia, ma non voglio confonderle le idee e quindi ricorro ad esempi più accessibili. Basta guardare il regno animale per rendersi conto come le femmine di tutte le speci non si allontanano dai cuccioli e dedicano loro attenzione massima e cura FINO ALLO SVEZZAMENTO.
Non è una legge specifica relativa agli umani, ma della natura tutta.
Procreare, infatti, implica delle responsabilità precise, è una scelta di vita, CHE SE CAMBIA IL COMPORTAMENTO ANIMALE, A MAGGIOR RAGIONE CAMBIA LA VITA DI UNA DONNA.
Sbaglia chi crede che l’arrivo di un figlio, non comporti cambiamenti nella propria vita.
Un bambino non chiede di nascere, fare un figlio non è un capriccio da togliersi, ma una scelta di servizio, di dono di se stessi e anche del proprio tempo.
Non sono i figli che devono inserirsi nella nostra vita, siamo noi che dobbiamo cambiarla per renderla a loro misura. Se non facciamo questo, potremmo fare crescere bambini soli, senza autostima e con poca sicurezza di sé.
Bambini affamati di attenzioni, perché non gliene è stata data abbastanza nel momento in cui ne avevano massimo bisogno, cioè i primi mesi di vita.
L’idea che non capiscono niente, che non percepiscono la differenza ad esempio tra un seno materna e un biberon della tata, è solo nostra.
Ciò non vuol certo dire che tutti bambini allattati artificialmente o che tutti bambini con genitori che tornano subito a lavoro, saranno dei disadattati.
Ma bisogna fare del nostro meglio per farli crescere bene, come quando in gravidanza assumevamo l’acido folico, per prevenire la “spina bifida”.
I bambini hanno nette percezioni, già nel grembo materno.
L’idea, che se piangono non si devono prendere in braccio “perché si abituano alle braccia”, è un luogo comune.
Le “abitudini” arrivano dopo i 6 mesi, fino ad allora è tutto amore.
Non è un caso che studi recenti, riabilitano il cosleeping, (dormire nel lettone) e i migliori pediatri sostengono la scelta dell’allattamento a richiesta. Il volere educare i bambini inquadrandoli come soldati, già dai primi giorni di vita, non solo é antisociale, perché una generazione cresciuta senza il rispetto dei suoi ritmi di crescita può essere inevitabilmente compromessa, ma è un comportamento al di fuori delle più elementari regole umane e naturali.
Poi è anche vero che per molte donne, tornare a lavorare subito dopo il parto sia una necessità assoluta.
Ma per questo problema dovrebbe intervenire adeguatamente lo Stato e non certo con affermazioni come le sue.
Mi rendo conto che il suo lavoro le permette di lasciare la bambina, rilasciare interviste di questo tipo (di cui noi non sentivamo la necessità) e tornare con comodo da sua figlia.
Ma ci sono lavori che richiedono tempi e una fatica fisica e mentale che Lei non conosce.
Tempo che sarebbe inevitabilmente tolto ad un neonato che ha bisogno di una mamma “fresca”, che gli dedichi la massima attenzione.
Noi donne infatti, se spesso per necessità ci comportiamo come Wonder Woman, poi siamo colpite da sindrome di sovraffaticamento.
E non è vero che è importante la qualità e non la quantità: – perché la qualità del tempo di una mamma da pochi giorni, che rientra nel tritacarne della routine quotidiana, aggiungendo il carico della gestione di un neonato, può essere compromessa. – perché un bambino non dovrebbe scegliere tra qualità e quantità, almeno nei primi mesi, dovrebbe disporre di entrambe le cose.
Per non parlare poi del fatto, che se un genitore non può permettersi qualcuno che tenga il bambino nella propria casa, nel corso degli spostamenti, lo espone, con un bagaglio immunologico ancora carente, alle intemperie o alle inevitabili possibilità di contagio presenti in un nido.
Infatti, è scientificamente provato che i bambini, che vanno al nido troppo presto, o che non vengono allattati al seno, sono più soggetti ad ammalarsi, con danno economico sia per le famiglie che per il sistema sanitario.
Poi per carità, si può obiettare, che ci sono bambini che si ammalano anche in casa, o come succede anche ai bambini allattati al seno, ma è come dire ad un medico, che giacché si è avuto un nonno fumatore campato 100 anni, non è vero che il fumo fa male.
Bisogna dunque incentivare i comportamenti da genitore virtuoso, anche con la consapevolezza che i bambini non sono funzioni matematiche, ma si può fare molto, per favorire una crescita armoniosa, già dalla prima infanzia, se non addirittura durante la gravidanza.
E allora le domando Ministro, di svolgere il suo ruolo importante istituzionale con maggiore serietà, cercando di evitare affermazioni fuori luogo come questa, o come quella secondo cui “studiare non è poi così importante”, rendendo Renzo Bossi come esempio.
Si dovrebbe impegnare di più nell’analisi dei problemi, per evitare valutazioni errate e posizioni dannose per lei, per gli altri e per il paese.
Perché forse qualcuno potrebbe aver pensato che tutto sommato il suo era un ministero poco importante, che se guidato da un giovane ministro senza competenze specifiche, “non poteva arrecare grossi danni”, soprattutto obbedendo ciecamente ai dettami del Tesoro, ma Lei con la sua presunzione di voler parlare di cose che non conosce, sta contribuendo a minare il futuro di un’intera generazione.
05-05-10
Rosalinda Gianguzzi
Insegnante precaria della scuola primaria siciliana.
Mamma e docente per vocazione, scrittrice per diletto
CI INCONTREREMO
maggio 14, 2009
Ci incontreremo un giorno…sì…
e parleremo!
Al di là del grande muro del silenzio
molto oltre questo oceano di dolore
Ci incontreremo…noi…
e discuteremo
smessa, finalmente, ogni retorica!
Superiori, noi saremo
Liberi…persino dal bisogno
Senza finzioni, ci diremo tutto
soltanto per parlare, per andar dentro
per ascoltare infine, per capire
Noi ci racconteremo quello che fummo
che siamo e che saremo
Parleremo di noi…e del percorso
di quello che davvero abbiamo fatto
lo metteremo in luce
Di quella vita ed anche di ogni altra
Senza stanchezza, invidia…senza dolore
Senza più gelosia, senza mezzucci e trucchi
Noi lì ci incontreremo…un giorno…
E parleremo
e fui contento perchè rubacchiavano.
Poi vennero a prendere gli ebrei
e stetti zitto perchè mi stavano antipatici.
Poi vennero a prendere gli omosessuali
…e fui sollevato perché mi erano fastidiosi.
Poi vennero a prendere i comunisti
ed io non dissi niente perchè non ero comunista.
Un giorno vennero a prendere me
e non c’era rimasto nessuno a protestare.
B Brecht
le piante dei piedi nudi piantate sulla superficie di legno consunto della cabina di comando,
a sensibilizzare l’intero corpo su ogni minima oscillazione delle onde,
e di reazione compensare con il timone.
Armonizzare, essere una cosa sola, tu al timone, la barca ai tuoi piedi, l’immenso tappeto di acqua circostante che ti vorrebbe inghiottire.
Condurre una barca su docili onde come su di un mare molesto,
è un pò come fare l’amore con una bella donna.
Almeno, per me così è stato. Ascoltare il sussulto della carne liquida del mare,
il suo gemito quando battendo contro lo scafo ne inclina le assi.
Essere dominatori del mare, dominare,
e nel contempo saper ricompensare.
Io che da autista semmai ero esperto di tangenziali e imbocchi autostradali, non avevo mai condotto una imbarcazione in vita mia prima dell’ agosto 2008, quando impegnati nella prima traversata del mediterraneo in direzione di Gaza, resosi indisponibile il capitano libanese, dovetti improvvisarmi timoniere per condurre la Free Gaza dentro il porto di Creta.
Quella missione si concluse con successo il 23 dello steso mese: una cinquantina di uomini e donne provenienti da 18 differenti paesi riuscirono a sbarcare nella Striscia dimostrando come gente comune determinata e organizzata può giocare ruoli chiave nella storia.
Le biografie dei passeggeri di allora la dicevano lunga sulla eterogeneità dell’umanità imbarcata: c’erano suore cattoliche, ebrei sopravvissuti all’olocausto, anziani palestinesi vittime della diaspora, giornalisti, avvocati, ingegneri, operai, dottori, insegnanti e attivisti per i diritti umani.
La genesi del Free Gaza Movement ebbe luogo
una notte del 2005 in un pub australiano dove riuniti un gruppo di attivisti dell’ISM a cui Israele negava l’accesso in Palestina partorirono il sogno: raggiungere Gaza non più via terra vincolati dai lasciapassare delle autorità israeliane ed egiziane, ma via mare.
Un rotta di navigazione mai intrapresa prima, dal porto di Larnaca passando per acque cipriote sino a quelle internazionali quindi sopra quel tratto di mare che le leggi internazionali sanciscono essere a sovranità palestinese.
Gaza era è lì appena oltre il mediterraneo, ma pareva che nessuno fino ad allora avesse mai pensato di raggiungerla nella maniera più naturale: navigando.
Ben presto il difficile si rivela non essere raddrizzare l’uovo di Colombo, ma covarlo.
Due anni di paziente raccolta fondi ci permisero di acquistare due rudimentali pescherecci di legno.
Io lasciai l’Italia a fine giugno 2008 per Atene. Da lì, venni segretamente condotto in una isoletta di
pescatori dell’arcipelago greco della quale ignorai nome e locazione geografica sino alla vigilia della partenza.
Nel più totale anonimato e senza contatti esterni per timore di sabotaggi da parte dei servizi segreti israeliani fra flebili speranze e giustificati timori, lavorai alla messa a punto di quella che sarà poi ribattezzata Free Gaza, un peschereccio di una trentina d’anni che dotammo di sofisticate apparecchiature per la comunicazione satellitare.
Dopo una settimana di navigazione obbligati a diverse tappe fra Grecia, Creta e Cipro per rimediare ai continui guasti alle nostre barche, il 21 agosto 2008 salpammo per l’ultima volta da Larnaca diretti a Gaza.
Impegnati nell’ultimo sforzo, ci lasciamo alle spalle le fatiche di mesi di preparazione e le minacce di morte che per alcuni di noi risuonavano continuamente sui cellulari come telefonate anonime.
Due giorni dopo migliaia di palestinesi si riversarono al porto per dare il benvenuto alle
prime barche internazionali dal 1967.
Vakfi , di Ship to Gaza Grecia, e di Ship to Gaza Svezia, ed è nata la prima Freedom Flotilla.
Come il palestinese Osama Qashoo, i greci Vaggelis Pissias, professore universitario, e il documentarista Yannis Karipidis, pestati selvaggiamente durante lo sbarco nel porto israeliano.
Paul Larudee, musicista statunitense, anche lui come i sopracitati componente storico del Free Gaza,è stato violentemente percosso per essersi rifiutato di fornire le generalità mentre Ken O’ Keef, irlandese, secondo capitano nella prima missione, a detta di testimoni stava disteso nella sua cella coperto di sangue .
Edy Epster, ebrea 85 anni sopravvissuta all’olocausto e coinvolta in tutti i viaggi del Free Gaza Movement non
ha ancora potuto coronare il suo sogno: visitare la Striscia prima di morire.
Avrà molto presto un’altra chance, poiché flotte di navi cariche di aiuti umanitari continueranno a sfidare la pirateria finchè l’assedio non verrà spezzato.
Mi ha scritto Edith Lutz dalla Germania. Dice che stanno per levare sopra il cielo nel mediterraneo la loro voce ebraica, la prima barca di ebrei in direzione della prigione di Gaza. Per dare una lezione a chi in questi giorni ci apostrofa come pericolosi terroristi. Perché come spiegava Mauro Manno antisionismo non è sinonimo di antiebraismo, ma anelito di libertà dalle catene dell’ oppressore disumano.
Restiamo Umani
Vittorio Arrigoni dalla Striscia di Gaza.