Archive for giugno, 2011


VITA

Non è tempo per noi

 

Ci han concesso solo una vita:
soddisfatti o no qua non rimborsano mai
E calendari a chiederci se
stiamo prendendo abbastanza
Se per ogni sbaglio avessi mille lire
che vecchiaia che passerei
Strade troppo strette e diritte
per chi vuol cambiar rotta oppure sdraiarsi un po’
che andare va bene, però a volte serve un motivo un motivo
Certi giorni ci chiediamo : ‘E’ tutto qui?’
e la risposta è sempre si!

Non è tempo per noi
che non ci svegliamo mai
abbian sogni però troppo grandi e belli, sai
belli o brutti abbian facce
che però non cambian mai
non è tempo per noi e forse non lo sarà mai

Se un bel giorno passi di qua
lasciati amare e poi scordati presto di me
che quel tempo è già buono per amare
qualchedun’altro, qualche altro
Dicono che noi ci stiamo buttando via
ma siam bravi a raccoglierci

Non è tempo per noi
che non ci adeguiamo mai
fuori moda, fuori posto
insomma sempre fuori, dai
abbiam donne pazienti, rassegnate ai nostri guai
non è tempo per noi
e forse non lo sarà mai

Non è tempo per noi
che non vestiamo come voi
non ridiamo, non piangiamo, non amiamo come voi
forse ingenui o testardi
poco furbi, casomai
non è tempo per noi
e forse non lo sarà mai

 

Ligabue

http://youtu.be/2BGZspxfcF8

 

 

 

 

TAV UNA TORTA DA 15 MILIARDI

Luca Mercalli

28 giugno 2011
 
L’opera non serve e la storia di “Milano-Parigi in 4 ore” è una fiaba, poiché già oggi la tratta Milano-Torino non è idonea al Tgv francese. Il finanziamento europeo è solo il 5%. Si vuole duplicare il transito in una tratta che già oggi funziona al 25% delle potenzialità

  

 

E’ sorprendete che in 20 anni di questo dibattito si continui a parlare per pochi slogan e a ritenere un’opera così faraonica necessaria e sottolineo questa parola, necessaria, indispensabile a fronte però di una sorta di pensiero immaginario. Si racconta una fiaba e sulla base di questa fiaba si cercano di portare con sé le persone della maggioranza del Paese che stanno in un altro luogo. La fiaba è “arriverete a Parigi in 4 ore invece che in 6, il progetto avanza, il lavoro arriverà da sé appena abbiamo bucato la montagna, ci aspettano secoli di prosperità che grazie a un buco sotto le Alpi improvvisamente scenderanno su di noi come una pioggia dorata”.

Invece quando si parla di progetti di questo genere bisognerebbe analizzare dei numeri, dei dati tecnici, tutte cose che invece qui in Valle di Susa si fanno da anni con l’ausilio di professionisti, di esperti di ogni settore. Ci sono tonnellate di elaborazioni tecniche che fanno riflettere prima di tutto sull’opportunità di questo progetto basandosi su quanto traffico merci c’è, quanto costa, quanti sarebbero i benefici ambientali (se ci sono etc.). Allora proviamo a fare un’analisi molto sintetica perché ci sono veramente tanti numeri e forse è questo il problema con il quale non si riesce a partire con la comunicazione sulla domanda di base, lascerei perdere tutte le tesi ideologiche, il concetto di progresso, lascerei perdere gli egoismi locali, le paure, l’ambiente. Lasciamole tutte perdere perché queste sono cose che vengono dopo, una cosa che viene prima è: la Tav a cosa serve? E perché dobbiamo farla?La Valle di Susa non è un baluardo alpino impenetrabile che procura danni al paese perché invalicabile, questo avveniva nel 1800 tant’è che Cavour decise di fare il primo tunnel ferroviario che è un’opera estremamente valida che funziona (a 140 anni di distanza) tutt’ora, è un traforo di circa una dozzina di chilometri già percorso dal doppio binario nella linea internazionale Torino-Modane. Questa linea funziona perfettamente e porta già oggi il treno Tgv dalla stazione di Parigi a quella di Milano centrale. E tra l’altro possiamo anche già farci delle risate sull’efficienza dei nostri proclami italiani, perché abbiamo già una linea ad alta velocità Torino – Milano che funziona dal 2006, sulla quale il Tgv francese non può passare, quindi tutte queste fiabe ci dicono che oggi un treno parte a alta velocità da Parigi, arriva fino a Chambery, attraversa le Alpi sulla linea normale, insomma andrà un po’ più piano invece di fare i 300 all’ora passando attraverso le Alpi farà i 100 all’ora non è che succede nulla, ci si legge il giornale, tanto più che poi a Modane ci si ferma a fare il controllo passaporti e si perde spesso mezz’ora per ragioni burocratiche e poi quando arriva a Torino invece di guadagnare sui 130 chilometri tra Torino e Milano tempo sulla nuova linea a alta velocità italiana costata 7 miliardi di Euro, si instrada sulla linea storica facendo le fermate Novara e Vercelli perché non è compatibile.

 

Perché la politica vuole la Tav, indistintamente dal Pd alla Lega? Perché Fassino, sindaco di Torino, vuole la Tav?

 

Io non sono certo un politologo. Però in Val di Susa il pensiero comune è che una bella torta di una quindicina di miliardi di Euro fa mangiare nella mangiatoia, nel trogolo dei maiali per una dozzina di anni tutti da una parte e dall’altra e ci sono tanti bei soldi pubblici che vengono per minima parte ottenuti dall’Unione Europea perché si continua a dire: perderemo il finanziamento europeo. Sì ,ma la domanda è: ma quanto è questo finanziamento? È tutto o è il 5%, perché se è il 5% chi se ne frega di perdere 500 milioni di Euro se poi dobbiamo mettere altri 15 miliardi a babbo morto presi dal debito pubblico italiano, che poi vanno ovviamente in tasca a chi realizza e agli amici di loro…

 

Cosa ne pensa del proiettile al deputato Pd Esposito? E delle infiltrazioni delle organizzazioni criminali negli appalti per la Tav?

 

Secondo me questi sono argomenti che vengono dopo. Sono fenomeni spiacevoli che tutti noi ignoriamo se poi addirittura sono pilotati o meno, ritengo che sia molto più dichiarato e molto più basato su fatti il malaffare tutt’ora esistente quando si parla di grandi opere in Italia, che qualche boutade di questo genere. Quindi torno a dire: prima di occuparci di tutto questo, prendiamo i progetti, i numeri, i promotori e li mettiamo davanti ai personaggi che invece hanno fatto i calcoli contrari e vediamo se questi numeri sono veri o no, perché si continua a fare chiacchiere e io voglio sapere: ma è vero che la linea attuale porta il 25% di quello che potrebbe portare? Domanda, sì o no? Se sì, allora perché si deve immaginare un progetto che decuplica il transito merci da qui a 40 anni seguendo un modello economico basato sulla fiaba. Oppure: ma è vero che inquina di meno la merce portata sull’alta velocità, che è poi alta capacità, visto che non possono passare o i passeggeri o le merci? Anche questo è un altro equivoco, è una linea a alta velocità per passeggeri o a alta capacità per le merci? Se è una non è l’altra e qui si parla ormai di merci, non di passeggeri. Quindi vedete che viene a crollare anche la fiaba del Parigi – Milano in 4 ore, se sono veri questi dati… Io mi faccio solo portavoce di un cumulo di relazioni tecniche dove tutte queste cose sono scritte ai tecnici di pertinenza, non le dice Mercalli, Mercalli le legge e si fa una domanda, dice: come mai il dibattito non verte su questi numeri e si continua a fare chiacchiere inutili? Se parliamo dei numeri e questi sono sbagliati qualcuno li correggerà è dirà: non sono veri, andiamo avanti, l’opera è utile. Ma se questi numeri sono veri, allora viene fuori che l’opera è inutile e che è soltanto un sacrificio sia locale per i problemi ambientali e cantieristici e nazionale per le casse dell’erario.

 

Dopo gli scontri di ieri, cosa succede adesso in Val di Susa?

 

Questo non lo so, è una previsione veramente difficile, ciò che io temo è che si sta alzando la pressione non tanto su quei fenomeni così teatrali, proiettili, buste di cui parlava prima, ma invece del concetto di democrazia di decine di migliaia di persone perché qui viene sempre dipinto un popolino di poche centinaia di elementi, invece qui stiamo parlando di 30/40 mila persone, in un territorio che è una periferia di Torino, quindi non di vecchi, di montanari retrogradi, ma di persone che sono esponenti della vita quotidiana a alto livello, della cultura, società, dell’insegnamento, è un popolo colto, preparato, variegato che si sente sempre più frustrato e la frustrazione è una brutta cosa in democrazia perché ci si sente al muro, senza la possibilità di aprire il dibattito sul vero tema centrale che è: l’opera serve o no? Parliamo di questo, allora è ovvio che le persone si incazzano, si incazzano ogni giorno di più e questo genera una serie di problemi, di malcontenti sul territorio che sono secondo me un grande esperimento sociale che vedremo come andrà a finire.

 

http://www.cadoinpiedi.it/2011/06/28/tav_una_torta_da_15_miliardi.html

IL MANIFESTO BLOG
 
Forme di vita e conflitti dentro e fuori dal web a cura di Benedetto Vecchi

 

 
 
 
Una ragazza che non nasconde di essere lesbica; che posta testi antiregime, ma anche le sue fantasie erotiche e che in breve tempo fa diventare il suo blog una delle fonti informative di riferimento dei giornalisti inglesi e statunitensi per capire cosa sta accadendo in Siria. I testi della ragazza, al secolo A Gay Girl in Damascus, sono considerati eccentrici, ma forniscono informazioni non tanto sulla rivolta siriana, bensì su come è cambiata la società siriana. Inoltre, dichiara orgogliosamente di essere lesbica, un atto di coraggio in una realtà dove lo Stato e la società civile non brillano molto per tolleranza verso l’omosessualità maschile o femminile. Poi arriva la notizia: Amina Abdallah Arraf al Omari, questo il nome della ragazza, è stata forse arrestata dalle forze di sicurezza siriane. Tam-tam nella Rete; iniziano le forme di mobilitazione a suo favore, fino a quando un giornalista statunitense, Andy Carvin,avanza il dubbio che A Gay Girl in Damascus sia un’entità fittizia e che non esiste nessuna Amina Abdallah.
  • Per una settimana, in Rete comincia il lavoro d’indagine per verificare o meno i sospetti del giornalista statunitense. Infine, la notizia: una ragazza che ha quelle caratteristiche esiste, ma non vive stabilmente in Siria e che molti dei post arrivano dalla vecchia Scozia, da Edimburgo in particolare (a questo proposito il rinvio è all’articolo apparso sul sito del quotidiano torinese “La stampa”). A questo punto la parola passa ai “professionisti dell’informazione”, che recitano il mantra che non sempre la Rete è affidabile, perché non la comunicazione non è gestita dagli “intermediari istituzionali” tra la realtà e chi consuma informazioni.

    Tesi ampiamente maggioritaria tra i giornalisti, che spesso usano la Rete come fonte di informazione, ma rivendicano alla propria categoria professionale il compito ultimo di decidere se un’informazione sia corretta o meno. Quello che invece evidenzia questa vicenda sono altri temi, centrali nel rapporto tra Rete, media tradizionali e movimenti sociali. A una domanda preliminare va data comunque risposta: quello che ha postato la ragazza è una bufala? Per chi scrive, no. La forza del suo blog non stava nell’adesione a una qualche deontologia professionale, bensì nella capacità di restituire il clima culturale, sociale, politico della realtà siriana. La sua potenza comunicativa sta in questa operazione di svelamento, non se quello che scriveva era il risultato di un lavoro sul campo. Anche perché se questo è il criterio di giudizio sulla correttezza dell’informazione, gran parte di quello che viene trasmesso, diffuso, scritto dai media è il frutto di una continua elaborazione, manipolazione di chi siede a una scrivania e “certifica” quello che circola a colpi di click di un mouse.

    Tolto di mezzo questa specificazione iniziale, va affrontato il cuore del problema, cioè che tipo di rapporto intercorre tra Rete, media e movimenti sociali. Per affrontarlo, parto da un incontro che si è tenuto a Roma venerdì scorso sulle cosiddette “primavere arabe”. Organizzato da “il manifesto”, giornale in cui lavoro, contemplava una sessione su come la Rete ha contribuito alla rivolta tunisina, egiziana e come è utilizzata in Siria, Barhein, Yemen, Libia. Peccato che non si è riusciti a coinvolgere i mediattivisti iraniani,che negli anni scorsi hanno fatto conoscere l’”onda verde” in Iran usando accortamente e con perizia la blogsfera, Twitter e Facebook. In ogni caso, interessantissime sono state le testimonianze di Nermeen Edress e Amira Al Hussaini. Ma su questo rinvio agli articoli di Marina Forni e Fausto della Porta, apparsi su il manifesto del 11 giugno. In ogni caso, la tesi di Nermeen Edress risulta la più provocatoria. Secondo la studiosa,attivista, giornalista la Rete è stata solo uno strumento informativo, perché la rivoluzione in Tunisia, Egitto è stata fatta nelle piazze,cioè fuori dallo schermo. E nelle strade si battono i libici che vogliono cacciare Gheddafi, i siriani che vogliono distruggere la gabbia d’acciaio del regime siriano, e così via.

    Tesi condivisibile, ovviamente, ma tuttavia impermeabile e indifferente a un’altra tenenza che coinvolge la Rete. In primo luogo, il rapporto tra la vita dentro lo schermo e quella fuori non è raffigurabile secondo la dicotomia tra virtuale e reale. La Rete, infatti, è diventata parte integrante della vita reale. La connessione al World wide web non è una prerogativa di una minoranza, ma esperienza quotidiana per miliardi di persone. Anche perché si è on-line usando non un computer, ma un semplice telefono cellulare, manufatto usato tanto al Nord che nel Sud del Pianeta. A mo di esempio: molte delle immagini, racconti sulla mobilitazione iraniana di due anni fa sono stati veicolati da Twitter, cioè da un social network che ha fatto della convergenza tecnologica tra telefono e Rete il suo punto di forza. Dunque si è in Rete anche senza un computer.

    Il venir meno del confine tra reale e virtuale non è esente da problemi. Infatti, entra in campo un altro fattore, cioè che i media tradizionali esercitano un potere sociale e politico che rende politicamente ancora efficace il vecchio adagio che l’opinione pubblica si esprime attraverso la Tv,la radio e i quotidiani. E’ questa una vera e propria convenzione, seppur una convenzione legittimata attraverso un gioco di specchi tra sistema politico, potere economico e forme organizzate degli interessi, per restare al linguaggio algido del pensiero mainstream liberale. In altri termini i media sono legittimati in quanto produttori dell’opinione pubblica da chi quei media dovrebbe controllare.

    Le primavere arabe, ma lo stesso discorso vale anche nella vecchia Europa e negli Stati Uniti, dove la tv, la radio e i quotidiani sono spesso indicati come una “fabbrica del consenso”, indicano che l’opinione pubblica si forma, sempre più, al di fuori dei media tradizionali. Certo, affermare l’evanescenza dei media in paesi come la Tunisia e l’Egitto, dove televisione e giornali sono stati sempre al servizio del potere, può sembrare un’ovvia banalità. Ma questo declino, meglio difficoltà dei media a produrre opinione pubblica vale anche per il vecchio e il nuovo mondo occidentali.

    I social network, la blogsfera veicolano sempre più informazioni, punti di vista che incontrano l’appeal e l’adesione di una società civile che punta a sottrarsi al potere manipolatorio dei media mainstream, attraverso modalità che fanno della condivisione il perno su cui fare leva per sviluppare una sfera pubblica autonoma da quella imposta dal potere politico, economico e delle corporation dell’informazione. In un linguaggio a tratti oscuro, nella Rete si sviluppano nuvole di dati, informazioni che si diffondono, si restringono, sono elaborate dalla cooperazione sociale presente nel Web. Facebook, Twitter e la blog sfera sono le infrastrutture di questo cloud computing. E su queste nuvole che Google, Facebook, Twitter,ma anche Yahoo!, Apple, Microsoft vogliono fare affari. Diventare l’infrastruttura del cloud computing significa accedere a quel settore che costituirà il mercato degli anni a venire. Tutte le imprese vogliono acquisire un vantaggio sulle altre, stabilendo così delle barriere di ingresso per i nuovi venuti. Ma sono altrettanto consapevoli che le nuvole devono formarsi al di fuori di contesti professionali standardizzati. In altri termini, la cooperazione sociale deve mantenere la sua autonomia. La partita si gioca sulla riconduzione del bene comune conoscenza e informazione alla regola del libero mercato per questo la querelle sul diritto d’autore è così importante: non sono per garantire le rendite di posizione sul software, ma anche per effettuare l’enclosure del sapere diffuso. Anche in questo caso, un esempio. La battaglia condotta dai media tradizionali per imporre a YouTube il rispetto del copyright ha due obiettivi. Uno di breve termine (il pagamento delle royalties sul sapere già codificato) e un altro di lungo periodo: far diventare il diritto d’autore il dispositivo per le nuvole di dati che verranno. E, fatto non irrilevante, rientrare in gioco. Già, perché, e qui ritorno all’incontro sulle primavere arabe, e in particolare all’intervento di Donatella Della Ratta, ci sono anche altri protagonisti che vogliono occupare un posto di rilevo. Il riferimento è ai media arabi (Al Jaazeera, Al Arabya), ma anche a quei media globali (Cnn, Bbs, News Corporation) che sono consapevoli che l’egemonia nel campo dell’informazione e dell’intrattenimento si avrà solo se riusciranno a diventare il motore del cloud computing, cioè vincolare i singoli e i gruppi a un’impresa per stare in Rete, lasciando relativa autonomia e libertà alla produzione di contenuti.

    La posto in gioco è dunque quel nuovo modo di produzione della pubblica opinione che oscilla tra autonomia e sussunzione, per evocare l’immagine marxiana del passaggio al capitalismo. Soltanto che in questo caso, il passaggio è da una forma di capitalismo ad un’altra, con un regime di accumulazione distinto da quello precedente, ma incentrato comunque su un lavoro vivo e una cooperazione sociale elementi centrali nella produzione della ricchezza e da ricondurre quindi alla legge del valore, e dunque del plusvalore relativo e assoluto.

    .Mi sembra questo l’elemento non secondario che emerge dalle primavere arabe. Tendenze, dirà qualcuno, che possono essere smentite dal divenire storico. Certo, come sempre. Ma oltre a stare dalla parte di chi ha cacciato dittatori e chi ancora non ci è riuscito (Libia, Siria, Yemen, etc.), occorre cominciare a riflettere su come viene prodotta l’opinione pubblica. E chi come l’opinione pubblica è una categoria buona, appunto, per normalizzare le rivolte nel Nord Africa. Perché i movimenti non sono opinione pubblica, ma spazi di politicizzazione dei rapporti sociali. Cioè lo strumento affinché il cloud computing creato dal conflitto sociale e di classe non diventi materia prima del capitalismo digitale.

12 giugno 2011
Nadia el Fani
IL MANIFESTO BLOG
   a cura di Giuliana Sgrena 
 
 
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    I barbuti che si vedono nel film di Nadia el Fani  “Né Allah né padrone” sono senza dubbio meno aggressivi di quelli che domenica sera hanno assalito gli spettatori che assistevano alla proiezione della pellicola a Tunisi. Le vetrate del CinemAfricArt sulla centrale avenue Bourghiba sono state frantumate per dare la possibilità ad un centinaio di barbuti di fare irruzione nel cinema per interrompere la proiezione al grido di «La Tunisia è uno stato islamico» e «il popolo vuole criminalizzare la laicità» . I primi ad essere colpiti sono stati il proprietario della sala, il cui viso è stato cosparso del contenuto di un lacrimogeno, i due operatori e i registi presenti. Poi tutti gli spettatori sono stati minacciati di morte e quando hanno cercato di fuggire si sono trovati intrappolati: gli islamisti avevano chiuso le porte. E la polizia è intervenuta solo un’ora dopo. Nonostante la zona sia sempre presidiata dalle forze dell’ordine.

    La rassegna cinematografica “Giù le mani dalla mia creatività” doveva servire a denunciare le aggressioni subite negli ultimi tempi dagli artisti tunisini. Particolarmente nel mirino – ma domenica non era presente – proprio Nadia el Fani, regista del film sulla laicità in Tunisia, oltre che di un documentario trasmesso dalla televisione. I  barbuti avevano già reagito con un post su Facebook che invitava a coprire Nadia con «dieci milioni di sputi».  «E’ contro la democrazia, proprio quella democrazia per cui ci siamo battuti il 14 gennaio», è la reazione dell’ong Tunisie Tolérence.

    Già, la democrazia che si scontra con la teocrazia propugnata dai barbuti quando inneggiano allo stato islamico. E’ questa la sfida cui si trovano di fronte i democratici tunisini: garantire la democrazia anche a coloro che la negano oppure individuare delle regole che impediscano loro di nuocere? Il movimento islamista più radicale e violento, Tahrir, non è stato legalizzato ma questo non impedisce che il venerdì possa manifestare in avenue Bourghiba e fin davanti al parlamento con alla testa barbuti  con djellaba urlanti e donne con il niqab – velo integrale – che hanno chiesto di poter avere documenti con le foto con il velo e l’hanno anche ottenuto. Immagini che ricordano l’Algeria del 1989.

    Anche Ennahda, il movimento islamista di Rachid Ghannouchi, considerato «moderato»  per il linguaggio pragmatico usato nelle sedi ufficiali, comincia a ribellarsi ai compromessi inevitabili in un difficile processo di democratizzazione.  Ennahda si è ritirata definitivamente (per ora) dalla commissione per le riforme perché non riconosce la legittimità dell’organismo che non afferma il principio del consenso. Si tratta del Comitato per il raggiungimento degli obiettivi della rivoluzione formato all’indomani della fuga di Ben Ali. Una prima protesta Ennahda l’aveva fatta per il rinvio delle elezioni, che avrebbero dovuto svolgersi il 24 luglio e invece si terranno il 23 ottobre. Inoltre Ennahda è contraria a una legge che regoli il finanziamento dei partiti: teme vengano bloccate le ingenti risorse che arrivano agli islamisti dall’Arabia saudita.

di giuliana
pubblicato il 28 giugno 2011

EDGAR MORIN: LA “MIA” SINISTRA

Attenzione: apre in una nuova finestra. 27/06/2011 

La sinistra. Sono sempre stato contrario a questo la unificante che annulla le differenze, le opposizioni, i contrasti. Questo perché la sinistra è una nozione complessa, nel senso in cui questo termine implica unità, concorrenze e antagonismi. L’unità si ritrova nelle sue radici: l’aspirazione a un mondo migliore; l’emancipazione degli oppressi, degli sfruttati, degli umiliati, degli offesi; l’universalità dei diritti dell’uomo e della donna. Queste radici, nate dal pensiero umanista, dalle idee della Rivoluzione Francese e dalla tradizione repubblicana, hanno irrigato, durante il XIX secolo, il pensiero comunista, il pensiero libertario.
Il termine “libertario” punta sull’autonomia degli individui e dei gruppi, il termine “socialista” sul miglioramento della società, il termine “comunismo” sulla necessità di una comunità fraterna tra gli uomini. Ma le correnti libertarie, socialiste, comuniste sono diventate concorrenti. Queste correnti si sono trovate anche in vari conflitti, che in alcuni casi si sono rivelati mortali, dopo l’annientamento, da parte di un governo socialdemocratico tedesco, della rivolta spartachista, fino all’eliminazione dei socialisti e degli anarchici per mano del comunismo sovietico.
I fronti popolari, le unioni della Resistenza sono stati solo momenti effimeri. E dopo la vittoria socialista del 1981 il Partito comunista è stato asfissiato da un bacio mortale, di cui François Mitterand è stato l’abilissimo stratega.
Ecco perché sono sempre stato contrario al la sclerosante e bugiardo della sinistra, pur riconoscendo le radici e le aspirazioni comuni. L’aspirazione a un mondo migliore si è sempre basata sull’opera dei filosofi. L’illuminismo di Voltaire e Diderot, con le idee antagoniste di Rousseau, hanno abbeverato il 1789. Marx è stato il filosofo che ha ispirato sia il comunismo sia la socialdemocrazia, fino a quando quest’ultima è diventata riformista. Proudhon è stato il fautore di un socialismo non marxista. Bakunin e Kropotkin sono stati gli ispiratori delle correnti libertarie.
Questi autori sono necessari ma insufficienti per capire il nostro mondo. Siamo chiamati a intraprendere un gigantesco sforzo di ripensamento che integri le numerose conoscenze settoriali disperse, al fine di esaminare la nostra situazione e il nostro futuro nel nostro Universo, nella biosfera, nella nostra Storia.
Bisogna considerare che la nostra era planetaria ha assunto una forma globalizzata nell’unificazione tecno-economica sviluppatasi a partire dagli anni novanta dello scorso secolo. La navicella spaziale Terra si è lanciata a una velocità vertiginosa, spinta dai quattro motori incontrollati scienza-tecnica-economia-profitto. Questa corsa ci sta portando a pericoli sempre nuovi: turbolenze critiche di un’economia capitalista sfrenata, degrado della biosfera, che è il nostro ambiente vitale, crisi bellicose crescenti e che coincidono con la moltiplicazione delle armi di distruzione di massa: tutti questi pericoli stanno aumentando sempre più, rafforzandosi l’un l’altro.
Dobbiamo considerare che in questo momento siamo in una fase regressiva della nostra storia. Al “collasso” del comunismo, che era stata una religione di salvezza terrena, è seguito il ritorno prepotente delle religioni di salvezza celeste; i nazionalismi assopiti si sono risvegliati violentemente, le aspirazioni etno-religiose, per accedere allo Stato-nazione, hanno scatenato numerose guerre di secessione.
Consideriamo la grande regressione europea. Prima di tutto relativizziamola, visto il progresso delle nazioni emancipatesi dal controllo dell’URSS. Tuttavia l’indipendenza di queste nazioni ha provocato lo sviluppo di un nazionalismo forte e xenofobo. L’irruzione dell’economia liberale ha sovreccitato allo stesso tempo l’aspirazione ai modelli di vita e di consumo occidentali e la nostalgia delle sicurezze dell’epoca sovietica, mantenendo forte l’odio per la Russia. Anche le idee e i partiti di sinistra nelle ex-democrazie popolari sono al grado zero.
All’Ovest non è stata solo la globalizzazione a sconvolgere le conquiste sociali del dopoguerra, eliminando dal mercato molte industrie incapaci ormai di sostenere la concorrenza asiatica, e provocando la delocalizzazione che ha decimato i posti di lavoro; non è solo la corsa sfrenata al guadagno che ha falciato le imprese, togliendo il lavoro a molti impiegati ed operai; tutto è stato causato anche dall’incapacità dei partiti di rappresentare il mondo popolare e di eleborare una politica che risponda alle nuove esigenze. Il Partito comunista è diventato una stella nana, i movimenti trotzkisti, nonostante la giusta denuncia del capitalismo, sono incapaci di proporre un’alternativa. Il Partito socialista esita tra il suo vecchio linguaggio e una “modernizzazione” che si supponeva realista, mentre, al contrario, la modernità è in crisi.
Ancora più grave è la scomparsa del popolo di sinistra. Questo, formatosi nella tradizione del 1789, riattualizzata dalla Terza Repubblica, è cresciuto tra le idee umaniste degli istitutori, le scuole di formazione socialiste, poi comuniste, che hanno inculcato la fratellanza internazionale e l’aspirazione ad un mondo migliore. La lotta contro lo sfruttamento dei lavoratori, l’accoglienza dell’immigrato, la difesa dei più deboli, la preoccupazione per la giustizia sociale, tutto questo ha nutrito, durante un secolo, il popolo di sinistra, e la Resistenza sotto l’Occupazione ha rigenerato il suo messaggio.
Ma il degrado della missione dell’istitutore, la sclerosi dei partiti di sinistra, la decadenza dei sindacati hanno smesso di nutrire d’ideologia emancipatrice un popolo di sinistra i cui ultimi rappresentanti, già vecchi, scompariranno. Resta la sinistra snob e quella al caviale. E allora razzismo e xenofobia, che per i lavoratori di sinistra si esprimevano soltanto in privato, rientrano ora nella sfera politica e d’ora in poi porteranno a votare Jean-Marie Le Pen. Una Francia reazionaria relegata in secondo piano nel ventesimo secolo, tranne che durante Vichy, arriva in primo piano, rinsecchita, sciovinista, arrogante.
Vorrebbe rifiutare i clandestini, reprimere crudelmente i giovani delle periferie, esorcizza l’angoscia dei tempi presenti nell’odio verso l’islam, verso il magrebino, l’africano e, di nascosto, l’ebreo, nonostante la gioia nel vedere Israele trattare il palestinese come il cristiano trattava l’ebreo.
La vittoria di Nicolas Sarkozy è dovuta in parte alla sua astuzia politica, ma soprattutto alla mancanza delle sinistre. Sotto forme differenti, la stessa situazione si presenta in Italia, in Germania, in Olanda; Paesi dal libero pensiero divenuto xenofobo e reazionario. La situazione esige tanto una resistenza quanto un rinnovo del pensiero politico.
Non si tratta di concepire un “modello di società” (che potrebbe soltanto essere statico in un mondo dinamico), piuttosto di cercare un po’ di ossigeno nell’idea di utopia. È necessario elaborare una Via, che potrà formarsi solo dalla confluenza di molteplici vie riformatrici e che porterebbe, se non è troppo tardi, alla dissoluzione della corsa folle e suicida che ci conduce all’abisso.
La via che oggi sembra insuperabile può essere superata. La nuova via condurrebbe a una metamorfosi dell’umanità: l’accesso a una società-mondo di tipo assolutamente nuovo. Questa permetterebbe di associare la progressività del riformismo e la radicalità della rivoluzione. Apparentemente nulla è iniziato. Ma in tutti i luoghi, Paesi e continenti, compresa la Francia, esistono molteplici iniziative di tutti i tipi, economiche, ecologiche, sociali, politiche, pedagogiche, urbane, rurali, che trovano soluzioni a problemi vitali e sono portatrici di futuro. Sono sparse, separate, suddivise, s’ignorano le une con le altre… Sono ignorate dai partiti, dalle amministrazioni, dai media. Meritano di essere conosciute e la loro unione ci permetterebbe d’intravedere le vie riformatrici.
Dato che tutto si deve trasformare, e che tutte le riforme sono solidali e dipendenti le une dalle altre, non posso elencarle qui, questo sarà il lavoro di un libro ulteriore, forse ultimo. Qui indichiamo solamente e molto schematicamente le vie di una riforma della democrazia.
La democrazia parlamentare, casomai fosse necessaria, è insufficiente. Bisognerebbe concepire e proporre le modalità di una democrazia partecipativa, in particolar modo su scala locale. Sarebbe utile, allo stesso tempo, favorire un risveglio cittadino, inseparabile da un rinnovo del pensiero politico; così dalla formazione di attivisti si passerebbe grandi problemi. Sarebbe ugualmente utile moltiplicare le università popolari che offrirebbero ai cittadini l’iniziazione alle scienze politiche, sociologiche, economiche.
Bisognerebbe anche adottare e adattare una sorta di concezione neo-confuciana nelle carriere dell’amministrazione pubblica e nelle professioni che comportano una missione civica (insegnanti, medici), ovvero promuovere un modo di assunzione che tenga conto dei valori morali del candidato, della sua predisposizione alla benevolenza (attenzione verso gli altri), alla compassione, della sua devozione verso il bene pubblico, del suo senso di giustizia e di equità.
Prepariamo un nuovo inizio riallacciando le tre radici (libertaria, socialista, comunista), aggiungendoci quella ecologica per una tetralogia. Ciò implica evidentemente la dissoluzione delle stutture partitiche esistenti, una grande ricomposizione secondo una formula ampia e aperta, l’apporto di un pensiero politico rigenerato.
Certamente all’inizio bisogna resistere alla barbarie crescente. Ma il “no” di una resistenza si deve nutrire di un “sì” alle nostre aspirazioni. La resistenza a tutto ciò che degrada l’uomo e che viene dall’uomo, agli asservimenti, all’odio, alle umiliazioni, si nutre dell’aspirazione, non certo al migliore dei mondi, ma a un mondo migliore. Quest’aspirazione, che non ha smesso di nascere e rinascere nel corso della storia umana, rinascerà ancora.

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(Traduzione dal francese di Nunzia di Palma e Serena Cacchioli.)

http://www.controlacrisi.org/joomla/

http://www.ilfattoquotidiano.it/

“Hanno lanciato 50 candelotti di fila su 600 persone. Mi sembra un po’ difficile fare resistenza passiva in queste condizioni”. Così i manifestanti No Tav descrivono gli scontri con le forze dell’ordine a Maddalena di Chiomonte. Fin dalle prime ore della mattina la polizia tenta di sfondare il presidio, tra le urla dei manifestanti. “Vergogna”, “Giù le mani dalla Val Susa” gridano. Insulti, spintoni, feriti da entrambe le parti. Qualcuno scappa da una tenda del presidio che ha preso fuoco perché colpita da un candelotto. “C’è un’ordinanza del prefetto che requisisce la strada — spiega un militante No Tav -, ma quest’area è stata affittata dalla Comunità montana e non interferisce con i lavori cantiere”. Eppure le forze dell’ordine la militarizzano. “Un’operazione sciagurata che viola tutte le regole”, aggiunge un altro manifestante. “Non sono ancora scaduti i termini di esproprio dell’area — spiega -, quest’azione è illegale: chiederemo un sequestro del cantiere” di Lorenzo Galeazzi e Cosimo Caridi

http://youtu.be/lZ0cyCC00Wc

Il diritto di informare ed essere informati

 di Marco Imperato

Non ci si domanda perché ci sono certi comportamenti da parte di chi ha responsabilità pubbliche, ma il problema è ancora una volta soprattutto perché questi fattacci sono finiti sui giornali, a disturbare i nostri placidi sogni.

Di fronte all’ennesimo scandalo, l’unica levata di scudi è contro lo strumento che ha permesso ancora una volta di sollevare il velo su un sistema nel quale, in sostanza, il conflitto di interessi è il vero principio fondamentale e fondante. Non entro nel merito della rilevanza penale: questo lo valuteranno i giudici competenti una volta dato anche spazio alle difese e vagliati nel contraddittorio tutti gli elementi. Ma per ritenere il disvalore politico ed etico non si deve aspettare la Cassazione, non solo perché altrimenti tutto sarebbe sospeso per anni con estrema ipocrisia, ma soprattutto perché i cittadini hanno il diritto e l’obbligo di poter conoscere e valutare l’operato di chi ha responsabilità pubbliche: magistrati compresi, ovviamente!

Povero quel Paese che affida solo alla giustizia penale il giudizio sul comportamento etico dei suoi governanti. Il fatto che adesso non si parli di modificare lo strumento di indagine non mi libera da tutte le preoccupazioni: la difesa del diritto di informare e di essere informati attiene al buon funzionamento di tutte le istituzioni democratiche, perché se non c’è trasparenza non ci può essere una cittadinanza informata e consapevole e quindi capace di esprimere la sua volontà in maniera piena e indipendente e non solo abbeverandosi a un po’ di propaganda.

La soluzione per evitare un abuso nelle pubblicazioni c’è ed è molto semplice: divieto assoluto di pubblicare intercettazioni fino a quando accusa e difesa non avranno selezionato quelle che ritengono rilevanti davanti al giudice per le indagini preliminari; dopo questo filtro, distruzione di quelle irrilevanti e autorizzazione a pubblicare solo le restanti.

E’ un punto di equilibrio chiaro che tutela le indagini, le persone coinvolte, ma che non hanno commesso fatti rilevanti, e i cittadini, che vogliono conoscere i comportamenti illeciti di chi li governa e di chi amministra a qualsiasi titolo la cosa pubblica. Ogni ulteriore laccio all’informazione (anche sotto il profilo soltanto della procrastinazione delle pubblicazioni possibili) mi sembrerebbe immotivato, pericoloso e utile soltanto a chi teme che la gente sappia troppo. Quelli che considerano il popolo un “minorenne” a cui non mostrare le brutte cose che si devono fare quando si gestisce il potere (ricordate il monologo di Andreotti ne “Il Divo”?).

Troviamo allora una soluzione equilibrata sulle pubblicazioni, così potremo finalmente tornare a guardare la luna e non il dito! Perché, tanto per fare un esempio, non diamo attuazione alla Convenzione di Strasburgo del 1999 (firmata subito e mai ratificata) che ci imporrebbe di punire anche in Italia il c.d. “traffico di influenze“? Questo aiuterebbe l’autorità giudiziaria a perseguire questi comportamenti scorretti e lesivi degli interessi pubblici e di quella meritocrazia di cui poi tutti si riempono la bocca in campagna elettorale.

A volte certi esami medici sono dolorosi e invasivi, ma se ci aiutano a scoprire e curare brutte malattie diventano necessari: è curioso che nella metafora italiana spesso il cancro sia la magistratura e non chi piega il bene pubblico ai propri interessi.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/06/26/il-diritto-di-informare-ed-essere-informati/125295/

Regime

6 luglio, muore il Web italiano

di Alessandro Longo

Dalla settimana prossima l’Autorità delle comunicazioni avrà il diritto arbitrario di oscurare siti senza un processo. Una norma che non esiste in nessun Paese libero. Fortemente voluta da Berlusconi e da Mediaset

(27 giugno 2011)

Il 6 luglio arriverà una delibera Agcom, sulla tutela del copyright online, e sarà una forma di censura del web, in nome degli interessi di Mediaset e delle lobby dell’audiovisivo, con il beneplacito del centro destra. E’ questo l’allarme lanciato da un gruppo di associazioni (Adiconsum, Agorà Digitale, Altroconsumo, Assonet-Confesercenti, Assoprovider-Confcommercio, Studio Legale Sarzana). Avevano già fatto una campagna contro i rischi di quella delibera, ma speravano ancora di cambiare le cose. Speranze fallite venerdì, dopo aver incontrato Corrado Calabrò, presidente Agcom (Autorità garante delle comunicazioni). «Abbiamo appreso che non c’è spazio per la mediazione e che Agcom intende approvare la delibera-censura in fretta e furia», dice Luca Nicotra, segretario di Agorà Digitale, associazione di area Radicale. Nel testo definitivo dovrebbe insomma restare il principio di fondo, già presente nell’attuale bozza della delibera: Agcom avrà il potere di oscurare siti web accusati di facilitare la pirateria. Senza passare da un regolare processo, ma solo a fronte di una segnalazione da parte dei detentori di copyright.

Ma perché gridare alla censura? Come motivate quest’allarme?

«La questione alla base è che il diritto d’autore sul web ha tantissimi ambiti ed è possibile che l’industria del copyright metta in piedi interi uffici dedicati a segnalare presunte violazioni all’Autorità, come avvenuto in altri Paesi. L’Autorità non avrà i mezzi per gestire le decine di migliaia di segnalazioni che arriveranno. Sarà il Far west, ci saranno decisioni sommarie, ai danni di siti anche innocenti. Siamo il primo Paese al mondo a dare ad Agcom questo potere. Calabrò stesso ci ha detto che sa di muoversi in un territorio di frontiera… ».

Però ci si potrà difendere opponendosi all’oscuramento del sito.

«Secondo la delibera, potrà farlo il gestore del sito web, ma non l’utente che carica il contenuto in questione. Sarà un salto nel buio. Il nostro colloquio con Calabrò ci ha confermato che l’Autorità non è preparata a questo».

Perché non lo è?
«Per esempio: abbiamo detto a Calabrò che i provider Internet avranno grosse spese per rimuovere i contenuti dal web e lui ci ha risposto che non lo sapeva, che non gliel’avevano detto. Non ci ha mai risposto con numeri e criteri oggettivi alle nostre critiche».

Ma la censura avrà anche un colore politico?
«Sì e questo rende la cosa ancora più grave. Siamo in un Paese in cui la denuncia per diffamazione è facile ed efficace, per mettere a tacere media. In un sistema politicizzato come il nostro, questo nuovo potere che Agcom potrebbe aggravare il fenomeno. Dalla denuncia per diffamazione all’oscuramento d’Autorità di un sito il passo è breve».

Perché vi è sembrato che Calabrò avesse molta fretta di completare la delibera?
«In precedenza Agcom ci aveva promesso, per tenerci buoni, tanti incontri di mediazione e che il testo definitivo non sarebbe stato subito esecutivo ma che sarebbe stato messo in consultazione. Adesso invece ha deciso che già prima dell’estate, probabilmente il 6 luglio, arriverà a una delibera fatta e compiuta».

Come ti spieghi questa fretta?
«Siamo in un contesto di grossa instabilità politica. In questo momento il clima è ancora favorevole agli interessi di Mediaset, ma Agcom teme che non sarà presto così e quindi vuole chiudere in fretta la vicenda. E’ un altro effetto del conflitto di interesse del presidente del Consiglio».

L’interesse delle lobby del copyright è evidente. Ma di Mediaset? E’ solo quello di tutelare il proprio diritto d’autore sul web (ha denunciato in passato Google per video su YouTube, del resto)?
«Non solo. Lo scopo è forgiare il web in modo simile al mercato che loro conoscono e depotenziandone la minaccia al loro business. Hanno fatto così anche con la delibera sulle web tv».

Che farete se la delibera passa così com’è?
«Faremo ricorso al Tar del Lazio. Se necessario a Bruxelles, ma crediamo che il Tar bloccherà la delibera, che secondo molti esperti è illegittima, poiché viola diritti fondamentali del cittadino. Ma visto che ci sono forti interessi del Presidente del Consiglio a far passare quelle norme, il governo potrebbe intervenire direttamente con un decreto, in caso di blocco al Tar».

http://espresso.repubblica.it/

FIRMA LA PETIZIONE CONTRO LA CENSURA

http://youtu.be/MKFhXUalY9g

 

Sito Non raggiungibile

Tornano le donne di “Se non ora quando?”
“L’Italia si è svegliata, la politica ci ascolti”

Tornano le donne di "Se non ora quando?" "L'Italia si è svegliata, la politica ci ascolti"

La regista Cristina Comencini: dopo il milione in piazza di febbraio, il 9 e 10 luglio gli Stati generali della condizione femminile

di SILVIA FUMAROLA

ROMA – “Facciamo dell’Italia un paese per donne”: più che uno slogan, un impegno. La regista Cristina Comencini racconta con passione la nuova iniziativa del movimento “Se non ora quando?” che porterà a Siena il 9 e il 10 luglio donne di tutta Italia per confrontarsi sul cammino fatto. Gli stati generali della condizione femminile, raccontata da donne del Sud e del Nord, di sinistra e di destra: tutte. “Tutte invitate” spiega la Comencini “a raccontare cos’è cambiato. È stato un anno intenso, e di cambiamenti importanti: lo dimostrano i risultati delle ultime elezioni e del referendum. È come se un’onda dal profondo avesse smosso il Paese. E non c’è dubbio che a questo risveglio abbiano contribuito gli studenti e le donne”.

Lo spot 1

Signora Comencini, parla di “risveglio” ma le donne non hanno fatto grandi passi avanti.
“L’associazione è nata un anno fa per iniziativa di un gruppo di donne, per capire cosa fosse accaduto in Italia. L’Istat racconta che facciamo ancora una fatica mostruosa e siamo rimaste indietro, nel 2011 la condizione femminile è tornata al centro dell’interesse. Anche gli uomini si sono stancati di vedere rappresentate le donne solo come corpi: è stato il primo passo”.

Avete intercettato il malessere e la voglia di condividere un percorso comune: immaginava che il movimento sarebbe cresciuto così?
“No, ma l’onda è cresciuta subito. Nessuno aveva il coraggio di esprimersi, come se il sentimento politico fosse ancora vivo, ma nessuno lo manifestava. Il tam tam è partito sul web, il 13 febbraio è stata una data storica: un milione di persone in piazza, l’Italia mobilitata. La nostra intuizione, partita con lo spettacolo “Libere” era giusta. Sono convinta che quest’onda gigantesca abbia influenzato anche le elezioni”.

Avete mai pensato di diventare un movimento politico?
“No. Ma il modo in cui è avvenuta l’adesione indica che c’era voglia di cambiamento. La società civile chiede che nasca la politica delle persone non dell’antagonismo, l’Italia vuole vivere meglio. Si sono mossi gli studenti e le donne, il risveglio ha coinvolto tutti. La politica deve lasciarsi contaminare, sarebbe un suicidio non ascoltare queste nuove voci. Il 13 febbraio ha preso vita una mobilitazione popolare; tra i politici c’era chi l’auspicava e chi la temeva. Nella politica delle donne vanno coinvolti anche gli uomini, è una battaglia che si fa insieme”.

A Siena cosa succederà?
“Il 9 e 10 luglio ci riuniremo nel Complesso di santa Maria della Scala, ringrazio il sindaco e la direttrice del museo che ci hanno messo a disposizione la città e la struttura. “Se non ora quando?” si pone un’altra domanda: e adesso? Continuiamo a lavorare. L’Italia non è un paese per donne, vogliamo che lo diventi. Gli ultimi dati Istat dicono che il tasso di occupazione femminile è sceso, che le donne abbandonano il lavoro, non possono permettersi di diventare madri. Un quadro che non è da paese moderno, l’Italia non dà nulla alle donne: va rimesso al centro il lavoro femminile”.

Ha girato l’Italia: che idea si è fatta?
“Mia sorella Francesca ha raccolto le storie, abbiamo visto donne di tutte le età e condizione, tante le avevamo contattate per e-mail: sono diverse e simili nella consapevolezza di sentirsi escluse. Chi si è reso conto che le donne sono una ricchezza per l’Italia è il presidente della Repubblica Napolitano. Le donne sono lavoratrici efficienti, hanno un potenziale enorme. La forza del nostro movimento è la trasversalità – si è visto dalla piazza – siamo unite perché contano i principi”. 

(19 giugno 2011)

http://www.repubblica.it/

Salvador Dalì  –  Allucinazioni Diurne

Antonio Albanese

http://youtu.be/6BRJAIe3gao

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Il folle progetto sionista si realizzerá con la pulizia etnica locale e la ricostruzione del tempio sul Monte Moriah

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