Archive for aprile, 2012
“Violenza sulle donne, tutti in piazza” (Marina Cavallieri).
30/04/2012 di triskel182
“Se non ora quando” lancia la manifestazione. Boom di firme all´appello. Sì di Montezemolo, Pisapia e Salvatores. La Poli Bortone: “Serve una legge ad hoc” ROMA – Dopo le migliaia di adesioni all´appello, una giornata di mobilitazione nazionale. Continua la battaglia per fermare la violenza sulle donne, per trasferirla dai morbosi dibattiti dei talk show alle sedi dell´iniziativa politica. Per renderla da banale notizia di cronaca a cuore di una trasformazione culturale.
É bastato poco tempo alla rete delle donne “Se non ora quando?” a coinvolgere e convincere. Il movimento che ha promosso l´appello “Mai più complici” sta ora valutando la scadenza di un giorno di mobilitazione. «La data non è stata ancora decisa ma ci sembra necessaria dopo la massiccia adesione al nostro appello, un consenso imprevisto», spiega Francesca Comencini, regista. «Molti hanno firmato, abbiamo scoperto che è un problema molto sentito, e sempre di più anche dagli uomini». La rete delle donne aveva lanciato un appello per spezzare l´assuefazione al “femminicidio”, per non relegare a poche righe – “delitto passionale” “omicidio in famiglia” – la morte di un´altra donna per mano di un uomo. Cinquantaquattro vittime dall´inizio dell´anno, omicidi spacciati per amori sbagliati. Ma le donne non ci stanno. E neanche molti uomini da quello che si può leggere sfogliando le adesioni. Tra gli ultimi a firmare sul sito petizionepubblica.it Giuliano Pisapia, Gennaro Nunziante, Dacia Maraini, Sandra Petrignani, Anna Bonaiuto, Gabriele Salvatores, Vittoria Franco, Pierre Carniti, Albertina Soliani, Gigi Covatta, Silvia Costa, David Sassoli, Silvia Vallone. Già avevano aderito Roberto Saviano e Susanna Camusso e poi Antonio Di Pietro, Luca Cordero di Montezemolo, Giulia Bongiorno, Andrea Romano, Carlo Calenda, Nicola Rossi, la vicepresidente del Senato Cinzia Bonfrisco, il sindaco di Lametia Terme Gianni Speranza, Valerio Mastandrea, Giuliano Amato, Daria Bignardi, Veronica Pivetti, Massimo d´Alema, Michela Murgia. E molti altri. Consensi, adesioni, ma per ora solo risposte emotive che rischiano di rimanere inadeguate per combattere comportamenti cupi e violenti. «Ho in progetto un disegno di legge per il reato di femminicidio», annuncia la senatrice Adriana Poli Bortone, ex sindaco di Lecce. «Bisogna pensare anche a qualcosa di specifico dal punto di vista giudiziario, a qualcosa che ancora non c´è. “Femminicidio” non è una bella espressione ma può servire ad attirare l´attenzione, può essere utile a capire i motivi per cui tutto questo accade. A volte questi delitti di donne sono seguiti in televisione più come oggetto di curiosità che come spunto per denunce reali». Anche per Barbara Pollastrini, esponente Pd, occorrono iniziative concrete: «Alle donne, sulle pensioni, è stato chiesto molto: l´esecutivo restituisca qualcosa almeno in termini di sicurezza e diritti umani. Servono risorse da stanziare per la prevenzione, per centri e case di accoglienza, per la tutela delle vittime». Per Francesca Comencini però il cuore del problema non è giudiziario ma culturale, i cambiamenti prima che avvenire nelle aule giudiziarie devono attraversare l´immaginario. «C´è un legame profondo tra l´immagine violenta delle donne diffusa per anni dalla televisione e dai media e quello che succede. Tra come le donne sono e come vengono rappresentate, il fatto è che tanti cambiamenti non sono stati ancora accettati, vissuti, narrati. Va cambiato il segno del racconto. E ora è il momento di farlo».
Da la Repubblica del 30/04/2012.
Tutto quello che vedi
Tu
che mi hai preso tante volte il cuore
ricorda:
non sono terra di conquista.
Sono una donna
di quella prateria che si fa vetta,
sono montagna
che precipita nel lago.
Fiume, cascata, acqua, donna.
Sono una donna adatta alla fatica,
sono una donna che non perde tempo.
Ho tre volte vent’anni
e indosso le mie età una per una,
vivo da sola con i miei cavalli,
suono il violino per i compleanni,
preparo torte, non ho avuto figli.
Straniero,
tu che mi hai chiesto tante volte il cuore,
io non indosso scarpe cittadine,
io scrivo, sogno.
Quando mi manchi
canto le nenie dei Siouan Missouri,
getto una coperta su un cavallo
e a piedi nudi vado al grande fiume.
Mi siedo sulla riva e lì ti aspetto
ripeto parole che non hanno tempo:
io sono la mia terra, il mio paese,
io sono acqua, grano, cielo, prateria.
Io sarò sempre quello che tu vedi.
Rachel Abrams
(traduzione di anonimo)
La storia più sorprendente è quella di Elfriede Vavrick, una arzilla signora che fino a 79 anni aveva gestito una bella libreria nei dintorni di Vienna e che, quando aveva dovuto chiuderla, per il senso di inutilità era caduta in depressione, al punto da non riuscire più a dormire.
L’unico rimedio che facesse chiudere occhio a Elfriede era “toccarsi”. La signora Vavrick andò da un medico per farsi prescrivere dei sonniferi e gli raccontò le sue vicissitudini. Il dottore rispose che la cura più efficace per questo genere di disturbi era il sesso, aggiunse che a tanti uomini piaceva il contatto sessuale con donne della sua età e le consigliò di offrirsi a mezzo stampa. Dopo ovvie e reiterate resistenze, dovute anche al fatto di essere nata nel 1929 e legata ai tabù dell’epoca, Elfriede Vavrick si decise a mettere un annuncio sul giornale. Gli uomini risposero a centinaia. La signora vagliò le loro lettere, cestinò quelle inaffidabili e telefonò ai firmatari delle missive interessanti. Nei primi quattro mesi si presentarono una cinquantina di aspiranti partner, tra i ventisette e i sessant’anni, la maggiorparte giovani. Era Elfriede a scegliere chi accettare e chi mettere alla porta. Con l’andar del tempo le capitò, suo malgrado, di cadere nella trappola dell’innamoramento con un quarantenne, ma si difese bene, frequentando insieme a lui tre amanti fissi. Elfriede si trasformò letteralmente e si riscoprì donna a tutti gli effetti e piena di gioia di vivere. Lottando contro molte perplessità Elfriede Vavrick finì per scrivere un libro sulla sua storia, trovando il coraggio di parlarne con i figli, i quali, felicissimi, le procurarono un editore. “Nacktbadestrand”, Edition a, Vienna 2010, nei paesi di lingua tedesca è stato un bestseller. E’ una delle tante storie vere passate in rassegna in “L’ amore a settant’anni” da Vanna Vannuccini – fondatrice di “Effe”; inviata de “La Repubblica”; corrispondente dalla Germania negli anni della caduta del muro, inviata nei balcani e in Iran, autrice di saggi importanti editi da Garzanti e Feltrinelli – libro che tenta una risposta alla domanda sull’età dell’amore e su cosa vogliamo farne delle tre decadi che dal secolo scorso ci sono state regalate: l’aspettativa di vita infatti ai primi del novecento era di quarantacinque anni per l’uomo e quarantotto per la donna. Oggi sempre più donne e uomini della terza età sono protagonisti di una nuova rivoluzione amorosa. L’autrice analizza soprattutto l’universo femminile come soggetto di un cambiamento non ancora del tutto rilevato: l’allungamento della vita, la liberazione sessuale, l’emancipazione economica e sociale della donna, fanno si che una intera generazioni si affacci alla settantina con codici di relazione diversi da quelle passate, come avesse dieci o vent’anni di meno. Se un uomo anziano e una donna giovane sono da sempre culturalmente accettati, l’inverso oggi é il nuovo. Vanna Vannuccini passa in rassegna storie di vita vere e commoventi, che danno uno spaccato del mondo quale è e quale è destinato a divenire. L’amore, sembra dire il libro, non ha anagrafe e se c’è amore la vecchiaia non esiste.
Scheda tecnica
L’amore a settant’anni
Vanna Vannuccini
Collana: Serie Bianca
Pagine: 128
Prezzo: Euro 10,00
Feltrinelli editore
Anno 2012
Tratto da: “L’amore a 70 anni”: un libro utile | Informare per Resistere
Modesta istigazione alla politica (Alessandro Robecchi).
29/04/2012 di triskel182
Chissà come sembra interessante il serrato dibattito su politica e antipolitica visto da una baracca italiana, sotto un tetto di lamiera, o nell’umidità di una roulotte posteggiata sul cemento. Magari severi moniti e monologhi apocalittici rimbombano in modo diverso contro le pareti di cartone. Di certo, le pareti di cartone sono aumentate, come le famiglie che ci vivono dentro, oltre 71.000: la disperazione misurata dieci anni fa moltiplicata per tre e pure di più, come ci dice il nuovo censimento. E poi, chi vuole cogliere fior da fiore, può cercare altri indicatori: salari di merda (i più bassi d’Europa), pensioni di merda (le più basse d’Europa), potere d’acquisto falcidiato, diseguaglianza in crescita esponenziale, precarietà di massa. Bene, non saprei l’antipolitica, ma i primi dati del censimento ci danno la fotografia di cos’è – qui e ora – la politica: il gentile mettersi a disposizione del mercato. E dunque, ecco una modesta proposta per tornare alla politica e dare un senso ai “severi moniti”. Si aiutino le 71.000 famiglie baraccate a occupare, dignitose e combattive, gli oltre quattro milioni di case vuote, le torri per uffici disabitate, i milioni di metri quadri deserti che la speculazione ha costruito senza senso. Pensate la sorpresa, se si scoprisse che la politica si fa con un piede di porco, un’occupazione, una finestra da cui entrare, un riprendersi casa e dignità, una resistenza allo sgombero. Vedremmo così, di fronte a 71.000 famiglie senza casa che si prendono una casa vuota, se la sinistra italiana sa ancora fare la tanto auspicata politica. Sosterrebbe un’azione giusta e illegale, o userebbe le solite parole “ragionevoli” e ingiuste? Continuerebbe i suoi balbettii modernisti sul liberismo sostenibile e lo “sviluppo”? Chiamerebbe la polizia? Probabile. Ma intanto, per cominciare, vedremmo attuare un’interessante patrimoniale. E poi, si sa come vanno queste cose: si comincia dalla casa e si passa ai salari, al lavoro, ai diritti. E poi, dopo, accomodatevi al dibattito: un letto caldo sotto un tetto vero sarà politica o antipolitica? Francamente, chissenefrega.
Da Il Manifesto del 29/04/2012.
dirittiglobali.it
Cinquantaquattro. L’Italia rincorre primati: sono cinquantaquattro, dall’inizio di questo 2012, le donne morte per mano di uomo. L’ultima vittima si chiama Vanessa, 20 anni, siciliana, strangolata e ritrovata sotto il ponte di una strada statale. I nomi, l’età, le città cambiano, le storie invece si ripetono: sono gli uomini più vicini alle donne a ucciderle. Le notizie li segnalano come omicidi passionali, storie di raptus, amori sbagliati, gelosia. La cronaca li riduce a trafiletti marginali e il linguaggio le uccide due volte cancellando, con le parole, la responsabilità. E’ ora invece di dire basta e chiamare le cose con il loro nome, di registrare, riconoscere e misurarsi con l’orrore di bambine, ragazze, donne uccise nell’indifferenza. Queste violenze sono crimini, omicidi, anzi FEMMINICIDI. E’ tempo che i media cambino il segno dei racconti e restituiscano tutti interi i volti, le parole e le storie di queste donne e soprattutto la responsabilità di chi le uccide perché incapace accettare la loro libertà.
E ancora una volta come abbiamo già fatto un anno fa, il 13 febbraio, chiediamo agli uomini di camminare e mobilitarsi con noi, per cercare insieme forme e parole nuove capaci di porre fine a quest’orrore. Le ragazze sulla rete scrivono: con il sorriso di Vanessa viene meno un pezzo d’Italia. Un paese che consente la morte delle donne è un paese che si allontana dall’Europa e dalla civiltà.
Vogliamo che l’Italia si distingua per come sceglie di combattere la violenza contro le donne e non per l’inerzia con la quale, tacendo, sceglie di assecondarla.
Comitato promotore nazionale Senonoraquando, Loredana Lipperini, Lorella Zanardo-Il Corpo delle Donne
Per adesioni: info at senonoraquando.eu
Il terremoto europeo (Beppe Grillo).
27/04/2012 di triskel182
Un terremoto è in arrivo in Europa. Le scosse sismiche sono le prossime elezioni e ireferendum. Si profila un confronto tra politica e finanza. I parlamenti nazionali da una parte e la BCE e il FMI dall’altra. Il 6 maggio si voterà in Grecia e il nuovo Governo potrebbe rigettare gli accordi presi con la UE per evitare il default. In Francia Hollande è favorito, la sua posizione è contraria ai tagli sociali per favorire le direttive europee. Sul trattato di stabilità ha dichiarato ”Aggiungiamo una parte sulla crescita o non lo ratificheremo“. Marine Le Pen ha ottenuto il 20% con un programma eurofobo e il suo consenso non potrà non influenzare il nuovo inquilino dell’Eliseo. Il 31 maggio in Irlandasi terrà un referendum sulle nuove regole di bilancio volute dalla Germania, il “fiscal compact” che in Italia è stato approvato senza alcuna consultazione popolare come nelle migliori tradizioni di uno Stato partitocratico e non democratico. Persino dove non vi sono elezioni a breve si stanno aprendo delle faglie profonde, inOlanda si è dimesso il Governo Rutte a causa dei previsti tagli alla spesa pubblica, senza austerity si perderebbe infatti la tripla A… In Olanda si andrà alle urne il 12 settembre, il Pvv antieuro di Geert Wilders potrebbe spopolare. Dove le politiche di tasse e sangue in nome dell’euro sono state applicate i risultati sono stati a passo di gambero, c’è stato un costante peggioramento. Il debito pubblico è aumentato, come in Italia, o il Paese è letteralmente fallito come in Grecia dove è avvenuto un default silenzioso. C’è stato, ma non si deve dire in giro (*). Oggi Standar&Poor’s ha declassato la Spagna da A a BBB+, in sostanza aumenta l’interesse dovuto a chi acquista titoli spagnoli. Gli interessi saranno onorati con il taglio delle spese sociali. Tutti più poveri, ma per cosa? Per diventare carne da macello come i tori nelle corride? José Ignacio Torreblanca professore alla UNED University ha scritto ieri sul Financial Times un lungo articolo dal titolo “Tempo di dire basta al nonsenso dell’austerity“. Scrive “La prossima settimana saranno due anni da quando Zapatero adottò le prime misure di austerità. Queste misure comportarono il suicidio del Partito Socialista spagnolo. Ora i Conservatori si trovano in una situazione simile, dopo 100 giorni di governo hanno portato l’austerità bel al di là del loro mandato elettorale e questo solo per trovarsi nella stessa situazione finanziaria di Zapatero. E’ oltraggioso che mentre gli spagnoli soffrono per la recessione e per la disoccupazione (del 24,44%, ndr) Jens Weidmann, presidente della Bundesbank e membro della BCE, affermi che il 6% di interesse per i titoli pubblici spagnoli “non è la fine del mondo”. E’ preoccupante che la UE sostenga i pesanti tagli alla spesa dell’educazione e della ricerca in Spagna ignorando deliberatamente che ciò è incompatibile on un modello di sviluppo… E’ tempo di dire basta!“. In gioco non c’è solo l’euro, ma un modello di sviluppo superato e la distruzione degli Stati sociali. Loro non si arrenderanno mai. Noi neppure. Ci vediamo in Parlamento.
(*) Come ci spiegherà puntualmente Beppe Scienza nel Passaparola di lunedì 30 aprile.
Da beppegrillo.it
Agli artisti del 1° maggio.
Scriviamo questa lettera a chi tra una settimana salirà sul palco del 1° Maggio. Sappiamo che non siete i soli a cui dovremmo scrivere, ma ci sembra giusto rivolgerci per prima cosa a voi che avete scelto di partecipare alla festa dei lavoratori.
Specialmente in un momento come questo è molto facile rassegnarsi alla propria impotenza; le decisioni sembrano prese tutte in contesti inavvicinabili, guidate da criteri irragionevoli e interessi meschini. Il timore che dopo gli incidenti di Trieste e Reggio Calabria nulla cambi, ci spinge però a forzare questo senso di impotenza e a chiamare in causa chi invece ha la possibilità concreta di intervenire. Gli artisti.
Suonare al concerto del 1° Maggio dovrebbe rappresentare qualcosa di più di una semplice esibizione tra le tante. Significa riconoscere la dignità di ogni lavoratore, celebrarne le conquiste e implicitamente considerarne le fragilità, specialmente in questo momento in cui va sbriciolandosi ogni diritto, ogni tutela, ogni certezza.
Durante la vostra esibizione centinaia di migliaia di persone guarderanno verso il palco senza vedere ciò che è “dietro” lo spettacolo.
Ci piacerebbe ricordare che anche questo palco voluto dai sindacati, sia frutto, come tutti gli altri, del lavoro invisibile di molte decine di persone alle quali questo sistema produttivo non riconosce, nella realtà dei fatti, diritti ormai considerati fondamentali. Non è la sede per entrare nello specifico, ma vogliamo comunque sottolineare che figure professionali quali rigger, scaffolder e facchini che rendono possibile ogni volta il funzionamento del gigantesco macchinario dello spettacolo, lavorano senza neppure un contratto specifico per la mansione che svolgono, senza un sistema di regole relative a turni e orari di lavoro e in condizioni di sicurezza spesso esistenti solo sulla carta. Sono molti gli aspetti che necessiterebbero di un serio intervento di riforma. Basti pensare che la formazione professionale in molti casi rimane a carico del lavoratore, così come la copertura assicurativa e l’attrezzatura di sicurezza. A questo si aggiunge la poca chiarezza nell’intreccio di responsabilità e competenze tra società di produzione, promoter, service e cooperative nella gestione di tour e spettacoli live.
E’ in questo scenario che chiediamo a voi artisti, vertice della piramide e in ultima analisi committenti di tutto questo macchinario spettacolare, di non sentirvi estranei.
Riteniamo che non si possa più far finta di nulla, pensando che gli incidenti siano casuali e non avvengano al contrario a causa di scelte finalizzate alla massimizzazione del profitto. Vi chiediamo espressamente di usare il potere che forse non sapete di avere: il potere di riappropriarvi della possibilità di una scelta etica, cambiando modello di business, selezionando con cura e in base a precise garanzie le aziende e le strutture a cui affidarvi, vigilando e tutelando le parti più deboli di questo processo. In particolare vi invitiamo a fermare la megalomania faraonica delle produzioni, garantendo ritmi lavorativi e turni più umani.
E’ necessario che alle dichiarazioni pubbliche seguano i fatti, ancor di più ora che con l’estate il numero degli eventi live raggiunge il suo apice. La nostra non è un’accusa, è solo un invito a liberarvi da una complicità morale che comunque si riflette sulla vostra immagine.
Dopo i fatti di Reggio Calabria e Trieste non si abbassi la guardia, non si può più fare finta di niente e aspettare un’altra morte.
Gli amici di Matteo
by bieffegi
Una riforma a favore del più forte
Le bugie e le cattiverie della “riforma del lavoro” in un’accurata analisi del testo della legge.
Le facoltà fondamentali del giudice del lavoro, di contemperamento dei poteri della parte più debole (il lavoratore) e di quella più forte (il datore di lavoro), fatte salve le ragioni di entrambi, vengono drasticamente limitate dal disegno di legge di riforma del lavoro, a partire da quelle che gli assegnava l´articolo 18. In tal modo i licenziamenti individuali e collettivi saranno resi ancora più facili. Sono questi gli esiti più negativi del ddl che il Parlamento dovrebbe cercare di attutire – sempre che non prevalga nella maggioranza la volontà di peggiorarli.
Prendere in esame le limitazioni delle facoltà del giudice a tutela del più debole apportate dal ddl è un efficace filo conduttore per non perdersi nelle 79 pagine di questo, per di più irte di dozzine di intricati rimandi a leggi preesistenti. A volte sembra che dette facoltà siano accresciute, ma a ben vedere quasi ovunque sono ridotte. Si prenda l´articolo 18, travestito in modo da apparire un parente della versione originale, ma in realtà radicalmente mutato. Il primo comma dei dieci che nel ddl sostituiscono i commi dal primo al sesto dell´articolo in questione attribuisce al giudice la facoltà di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro, in caso di licenziamento discriminatorio, quale che sia il numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro. Sulle prime questa parrebbe una novità meritoria, poiché da ogni parte si è sempre detto che l´articolo 18 si applica solo alle aziende con più di 15 dipendenti. E qualche voce del governo si è pure levata per far notare questa straordinaria innovazione a favore dei lavoratori. In verità si tratta di un dispositivo che ha più di vent´anni. La legge numero 108 del 1990 stabilisce infatti, all´articolo 3, che nel caso di licenziamento determinato da ragioni discriminatorie si applicano le conseguenze dell´articolo 18, cioè il reintegro nel posto di lavoro, quale che sia il numero dei dipendenti.
A una facoltà di vecchia data presentata come nuova si affianca, sempre nell´articolo 18 ristrutturato, la drastica riduzione della facoltà del giudice di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro. Nella precedente formulazione il giudice, a fronte di licenziamento intimato senza giustificato motivo, ordinava al datore di lavoro di reintegrare il lavoratore. Il comma 7 del nuovo articolo stabilisce anzitutto che il giudice può, non deve, applicare la predetta disciplina. Stabilire che un giudice non già deve, ma – se crede – può applicare una certa disciplina, in questo caso il reintegro del lavoratore, significa palesemente indebolirlo. Se ha il dovere di prendere una certa decisione è difficile sottoporlo a pressioni perché non lo faccia. Mentre se la sua facoltà è solamente facoltativa – non è un gioco di parole – è possibile che prima venga sollecitato da ogni parte affinché la eserciti nel modo più favorevole all´una o all´altra parte, e poi sia oggetto di valutazioni negative quale che sia la decisione presa.
Tuttavia ciò che ancor più riduce la facoltà del giudice di decidere il reintegro è che esso può effettuarsi soltanto nell´ipotesi in cui egli accerti la “manifesta insussistenza” del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ovvero per ragioni economiche. Che sono quelle inerenti all´attività produttiva, all´organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa, come dice la legge 604 sui licenziamenti individuali del lontano 1966. Qui il giudice che volesse procedere in senso favorevole al lavoratore si trova dinanzi a due ostacoli monumentali. Il primo è costituito dalle infinite ragioni di ordine produttivo, organizzativo e funzionale che un datore di lavoro può addurre per sostenere che quel tale licenziamento è giustificato. Il secondo ostacolo è la giurisprudenza. Un flusso ininterrotto di essa, consistente soprattutto in sentenze della Cassazione, ha infatti stabilito che le ragioni economiche addotte per un licenziamento sono insindacabili, in forza dell´articolo 41 della Costituzione per il quale l´iniziativa economica privata è libera. Un giudice ha facoltà di andare contro di esse soltanto nel caso remoto in cui, ad esempio, scopra nella motivazione o nei documenti esibiti come prova dall´impresa un falso clamoroso. Pertanto sapeva bene quanto si diceva il presidente del Consiglio allorché ha assicurato le imprese, subito dopo la presentazione del ddl, che “la permanenza in esso della parola reintegro è riferita a fattispecie estreme e improbabili”.
La facoltà del giudice del lavoro di andare a fondo allo scopo di stabilire se le ragioni del licenziamento sono valide è altresì indebolita dall´articolo 15 del ddl, con l´aggravante che in questo caso si tratta di licenziamenti collettivi. Esso aggiunge all´articolo 4 di una legge del 1991 in materia di integrazione salariale, la 223, un periodo apparentemente innocuo: “Gli eventuali vizi della comunicazione [per l´avvio di procedure di mobilità perché l´impresa non è in grado di garantire il reimpiego a tutti i lavoratori sospesi] possono essere sanati, ad ogni effetto di legge, nell´ambito di un accordo sindacale concluso nel corso della procedura di licenziamento collettivo.” Diversi giuslavoristi hanno già commentato negativamente tale aggiunta. In effetti i vizi di una simile comunicazione possono riguardare innumerevoli e rilevanti aspetti di essa: i tempi, i contenuti, i documenti allegati, i riferimenti a date, luoghi e persone, l´interpretazione di leggi vigenti ecc. Che detti vizi possano venire sanati in anticipo da un mero accordo sindacale, piuttosto che sottoposti all´esame di un giudice che a fronte di essi ha la facoltà di invalidare eventualmente il licenziamento stesso, dovrebbe apparire inaudito anche a un non giurista.
Qualsiasi legge si compendia, alla fine, nelle facoltà che essa assegna al giudice di valutare le ragioni delle parti in causa e di decidere quale di esse debba prevalere. Nel caso della legislazione sul lavoro, questa deve certo badare a che la libertà di iniziativa dell´impresa sia salvaguardata, ma deve pure circoscrivere il rischio che la parte più debole sul piano economico, il lavoratore, non si trovi collocato automaticamente nella posizione più debole anche sul piano giuridico, al caso quando si trova davanti a un giudice. È quello che ha fatto per più di quarant´anni la legge 300 del 1970, lo Statuto dei lavoratori. Il ddl di riforma del mercato del lavoro, salvo modifiche in Parlamento, azzera i dispositivi più progrediti di tale legge, e nel limitare le facoltà giudicanti del giudice appare palesemente squilibrata a favore della parte più forte, l´impresa.
Luciano Gallino
La Repubblica, 24 aprile 2012