Archive for febbraio, 2016


UMBERTO ECO

Mauro Biani

Non fare uscire dall’utero il cittadino tranquillo

Lezione meteo. Dietro le notizie meteo, le notizie ovvie, i meccanismi fondamentali delle comunicazioni di massa. Sul perché il manifesto racconta che fa caldo, sì, ma a Kartum e non a Milano

In queste giornate di distesi silenzi e di strade deserte, negozi chiusi e solleone a picco, piscine piene ed autostrade sanguinolente, una delle consolazioni del lettore dei quotidiani consiste nello scorrere la prima pagina del giornale e trovare articoli anche su quattro colonne dal titolo «Afa a Milano», «Caldo insopportabile a Roma», «La città è deserta» e così via. I nostri occhi percorrono ghiottamente quelle colonne in cui ci si racconta con dovizia di particolari quello che, a pensarci bene, sappiamo già benissimo, dato che leggendo ci tergiamo il sudore nella città vuota e silenziosa.

Badate, non si sta dicendo che è inutile che il giornale dia notizie meteorologiche, perché anche chi ha caldo gradisce sapere che suda a 32 gradi piuttosto che a 34 gradi; e non si pensa tanto ai giornali a tiratura nazionale i quali hanno anche la funzione di far sapere a chi sta a Roma che a Milano fa caldo e a chi sta in vacanza entrambe le cose.

Qui si sta pensando a notizie del genere pubblicate su giornali locali e pubblicate in giugno e ai primi di luglio. Quindi il problema non dipende dalla carenza di notizie nelle settimane estive: anche perché con Al-Fatah massacrato, gli agrari che ammazzano i sindacalisti, gli astronauti sulla Luna, le notizie almeno per questo agosto non mancano. Eppure i giornali occupano grandi tagli bassi di prima pagina per dire «Afa a Milano».

Si tratta di una notizia limite che tuttavia perfeziona un procedimento tipico della stampa quotidiana: si pensi per esempio alle notizie sugli acquazzoni, sul freddo o sulle nevi che giustificherebbero al massimo un breve bollettino del tempo.

La prima ragione di questo procedimento dipende da quello che ormai è un teorema nel mondo delle comunicazioni di massa: esse trionfano quando dicono ai propri utenti quello che sapevano già. Non vi è nulla di più confortante che sentirsi ripetere notizie già possedute. L’utente non viene messo in crisi, si diverte, si crogiola nel normale, viene riconfermato nelle proprie opinioni e ripaga il mezzo di massa con il suo consenso e con il suo contributo economico.

In questo senso il meccanismo della notizia ovvia è lo stesso che presiede alla composizione di una canzone di Sanremo: sia le parole che la musica devono ricordare una canzone precedente, in modo che il prodotto sia subito riconosciuto ed amato. Un poco come quegli uomini (tutti?) che cambiano anche moltissime donne, ma tutte assomigliano in modo diverso alla mamma. Il cittadino tranquillo non deve mai uscire dall’utero.

Ma il secondo motivo è più interessante. Qual è la funzione principale di una notizia «afa a Milano» letta da un milanese e concernente cose che il milanese sa già benissimo? E’ quella di aumentare la credibilità dell’organo di stampa.

Se io leggo «afa a Milano» mentre mi liquefo dal caldo, la prima reazione è quella di dire «è proprio vero». Tocco con mano che quel giornale mi dice le cose proprio come stanno. E istintivamente, dato che il mio riconoscimento di veridicità investe almeno cinque colonne di una pagina, sono portato a pensare che anche tutte le altre notizie (e quelle false notizie che sono le valutazioni) siano vere. E tanto più saranno vere quanto più ripeteranno le notizie e le valutazioni del giorno prima, dicendomi quindi quello che il giornale mi dice sempre e non turbando il mio equilibrio morale e politico.

Ci vuole così poco. Se il manifesto invece di rompere le scatole con notizie inquietanti dedicasse più spazio a notizie del tipo «oggi è domenica» e «siamo nel cuore dell’agosto», aumenterebbe subito la tiratura e eviterebbe di dover fare onerose collette tra i lavoratori.

Che gli altri giornali fanno lo stesso, ma in modo più indolore, aumentando il prezzo e facendo dare come resto una caramella. Il che rende assai di più di 10 milioni che questo strano giornale va sbandierando, mentre racconta ai suoi lettori che sì, fa caldo, ma a Kartum e non a Milano, rovinando le vacanze agli onesti cittadini i quali sono costretti, per difendersi, a non leggerlo.

il manifesto, 8 agosto 1971

 

Questo è un post di Lorella Zanardo che da anni si sta battendo perché i canali di comunicazione, televisione, giornali, pubblicità, cambino il modo che utilizzano nel rappresentare le donne.
Il corpo delle donne

Perchè si va a RAI UNO di mattina presto la domenica?

Mi invitano spesso a RAI unoMattina in Famiglia.
La domenica
Alle 8
Per un tempo di massimo mezz’ora
Non mi pagano
Non mi porta lavoro, nel senso che comparire in quelle trasmissioni non provoca altri inviti o docenze
Allora perchè ci vado?
Perchè alla mattina a RAIUNO c’è un pubblico che non intercettiamo qui. Non è un pubblico che va spesso su FB o almeno non sulle pagine come la nostra.
E’ un pubblico fatto prevalentemente di donne, fascia età media e medio/alta.
Cultura medio, medio /bassa.

La risposta è nelle righe qui sopra.
Utile andare dunque perchè arrivo a quelle donne con cui mi interessa entrare in contatto.
Mi danno poco tempo, ne vorrei di più.
Faccio quel che posso con il tempo che mi danno, me lo faccio bastare.
Oggi sono riuscita solo a dire che il testo di Cecile, la ragazza nera, era importante perchè abbatte gli stereotipi.
E che Garko è stato trattato come Madalina Ghenea: non male, ma quando sono belle e belli, si ritiene che l’inquadratura basti.
Bisogna farli palrare, dare spazio a chi è sul palco.
E’ poco? E’ qualcosa.
Sono molto soddisfatta del lavoro che ho fatto su me stessa in questi anni.
Sono riuscita ad uscire dalla gabbia dell’ego in cui molte intellettuali sono imprigionate, e anch’io ho rischiato: parlare a chi già conosce, dimenticare che gli/le anafabeti di ritorno sono più della metà della popolazione, scordarsi che abbiamo il più basso numero di laureati di Europa e il piu alto abbandono scolastico.
In pratica: ciò che sta accadendo in Italia è che chi già sa, si rivolge a chi già sa.
E nulla cambia.
Servono attiviste/i, voi che state leggendo.
Persone colte, umili, con un obiettivo enorme: divulgare.
Don Milani come MAestro.
Certo, l’ideale sarebbe avere una trasmissione dedicata, un nuovo ” Non è Mai Troppo Tardi 2.0.”
Ma facciamo quel che possiamo con ciò che abbiamo e dove siamo.
Buona domenica

 

Sorgente: * L’Amore vince sulla paura!

Amare, in tutte le sue declinazioni, significa rispetto, cura, protezione reciproche, considerando le singole libertà, all’interno della libertà collettiva, perché essere simili vuol dire essere nello stesso tempo diversi ma uguali. Molti uomini non sanno amare perché mettono sempre al centro di tutto la loro persona, le loro esigenze, i loro desideri, i loro sogni, la loro amarezza, la loro stanchezza, i loro dolori.

Ci si innamora. Dopo si deve avere la capacità di amare. 

I nostri «inviati» speciali nel mondo

 

 

Non è un caso che vittime della barbarie politica del nostro tempo siano così spesso persone che scrivono e vogliono scrivere dall’estero per il manifesto. Se si eccettua Giuliana Sgrena, che era ed è giornalista, e ha subìto la drammatica vicenda che conosciamo, giornalisti non erano né Vittorio Arrigoni, ucciso a Gaza dopo una consolidata collaborazione, né Giulio Regeni che aveva appena cominciato ad avvicinarsi al manifesto che considerava il suo «giornale di riferimento in Italia».

È perché – con le eccezioni dei nostri Anna Maria Merlo, Michele Giorgio, Luca Celada, Giulia d’Agnolo Vallan, Geraldina Colotti (senza dimenticare collaboratori «storici» come Roberto Livi) – quasi tutti gli altri autori dei tanti reportage  dall’estero che leggete sul manifesto spesso sono «volontari» del giornalismo, giovani (quasi tutti) che nei paesi di cui scrivono vivono perché titolari di una borsa Erasmus, o perché dottorandi e ricercatori, oppure perché cooperanti impegnati con qualche Ong.

Con tutto il rispetto per i miei colleghi iscritti all’Ordine, spesso bravissimi, debbo dire che il lavoro di questi nostri «inviati» diversi ha una qualità speciale: perché è frutto di una quotidiana immersione nelle società in cui vivono e che, proprio per via di questa immersione, riescono a dare, oltreché notizie, il senso profondo del vissuto che solo può venire dalla quotidianità di rapporti umani, di lavoro così come di amicizia, di ambienti lontani da quelli specificamente politico-istituzionali. Lo stesso Simone Pieranni, una delle colonne della redazione esteri, approdato nella redazione centrale ormai da un paio d’anni, è arrivato qui dopo esser stato in Cina per ben otto anni come ricercatore e freelance.

Si potrebbe dire che la povertà (finanziaria) del nostro giornale, acuisce da sempre l’ingegno: l’impossibilità di avere veri inviati e corrispondenti professionisti ci ha offerto una risorsa che, senza vana gloria, oserei dire che fa del servizio esteri de il manifesto uno dei migliori esistenti.

Non si tratta, intendiamoci, di «precari sfruttati dall’orrido padrone» che sarebbe la cooperativa.

Perché loro stessi non si sentono giornalisti, né spesso hanno alcuna intenzione di intraprendere questo mestiere. Sono persone cui piace socializzare con chi è restato in Italia quello che, di brutto e di bello, scoprono nel mondo; che è poi la ragione per cui sono andate ad esplorarlo.

Chi però ci aiuta in giro per il globo è naturalmente più esposto ai rischi delle repressioni locali, come lo sono i cittadini «indigeni» con cui hanno stretto rapporti, di cui finiscono per condividere la sorte.

Il caso di Giulio Regeni ne è la drammatica prova.

Tanto più drammatica se si pensa che Giulio era perfettamente consapevole dei rischi cui andava incontro scrivendo di una questione delicatissima come quella della condizione operaia in Egitto dove, pochi lo ricordano, proprio da una inedita ma assai estesa ondata di scioperi non ammessi partì, già molti anni fa, la prima ribellione al regime militare e liberista del Cairo.

Ce lo dicono le sue mail, in cui chiedeva, per precauzione sua e dei suoi compagni, di firmare con uno pseudonimo.

Purtroppo le precauzioni non sono bastate. Abbiamo dato sul giornale, col suo vero nome, solo dopo la sua morte la corrispondenza che ci aveva mandato. Ormai ogni precauzione era inutile, e sarebbe stato assurdo non dire al mondo perché Giulio era morto, una testimonianza dovuta al suo coraggio e a quello di tutti coloro che operano nelle difficilissime condizioni in cui vive tanta parte del mondo.

 

Lo dovevamo a Giulio Regeni, non solo perché questo suo scritto è la prova più lampante del carattere tutto politico di un assassinio che le autorità egiziane cercano di spiegare altrimenti, ma per testimoniare, più in generale, dell’importanza del ruolo svolto da tanti ragazzi che in paesi lontani e difficili non si rassegnano a chiudersi nelle loro private faccende ma si danno da fare per contribuire a cambiare il mondo.

http://ilmanifesto.info/

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