A proposito di violenza sessuale (e non solo), problema purtroppo sempre attuale come dimostrano le due recenti storie milanesi, proponiamo un articolo che la nostra Sandra Covre ha trovato in una rivista scientifica, Il giornale della previdenza dei medici e degli odontoiatri
In Attenzione – All’origine della violenza maschile
Studi internazionali hanno ricercato l’identificazione dei fattori di rischio ponendo l’accento sulla matrice culturale. I danni di un sistema educativo che si basa sulla logica del più forte, sul potere e sul controllo. L’anestesia della coscienza e il terrorismo patriarcale.
Le donne presentano un’alterata percezione del loro vissuto, sottostimando
la discriminazione subita, e sviluppano strategie di coping in linea con le aspettative sociali
di Lina Vita Losacco
Perché un bambino di otto/nove anni per evitare di essere discriminato deve dimostrare di avere una identità virile, per di più molestando le compagne? Purtroppo a rafforzare questo concetto ci pensano spesso genitori e insegnanti dispensando suggerimenti inappropriati e confusi. Un bambino sensibile e rispettoso di IV elementare, aveva chiesto aiuto alla maestra disperato perché i compagni lo chiamavano “checca”. Il consiglio ricevuto è stato di “mettere le mani addosso alle femminucce” e nessuno avrebbe dubitato della sua mascolinità. Sempre più numerose si avvicendano insegnanti distratte, in preda al panico di fronte ad una classe un po’ vivace o in crisi, specialmente quando devono affrontare temi come la differenza di genere o le pari opportunità e il valore del rispetto del prossimo. Così che sin dalla pubertà alcuni ragazzi sono oppressi da una cultura che, per dimostrare un’identità da duri, chiede loro di “staccarsi dalle gonne della mamma” e vieta nel modo più assoluto “comportamenti da femminuccia”. Non mancano i riti di iniziazione culturale, anche in ambiente familiare, con lo scopo di plasmare i comportamenti individuali e facilitare il funzionamento di un sistema sociale fondato sul potere e sul controllo. Controllo prima su se stessi e le proprie emozioni, reprimendo il bisogno di amare e di essere amati, poi sull’altro da sé, in particolar modo sul genere femminile. Cambiare il sistema di valori basato sull’ideologia del più forte, che i maschi assimilano fin da ragazzi, è certamente la forma di prevenzione più efficace del comportamento violento, invece si banalizza affermando che la progressiva autonomia delle donne sia in parte responsabile del comportamento violento maschile e per limitarlo basterebbe essere mogli e madri docili e ubbidienti. Che si punti il dito contro le vittime, e non contro gli autori del reato, è però cosa grave. Sulle cause della violenza nelle relazioni intime vi sono studi e ricerche che risalgono agli anni sessanta quando la psichiatria sosteneva la teoria della coppia violenta riconoscendo pari responsabilità all’autore e alla vittima del reato. Negli ultimi trent’anni gli studi internazionali si sono concentrati sulla identificazione dei fattori di rischio associati alla violenza per individuare le migliori strategie di intervento di tipo clinico, procedurale e sociale e quindi ridurne la reiterazione. Come nel caso di tutti i fenomeni sociali complessi, nel cercare le cause della violenza interpersonale sono state individuate caratteristiche e circostanze legate all’individuo, alla sua personalità, al contesto sociale, alla storia pregressa per cui più che di causalità si tratta di correlazione tra tali fattori e il verificarsi e perpetrarsi della violenza. Il passo successivo è stato l’adozione di strumenti di valutazione e gestione del rischio di recidiva o di escalation della violenza per individuare gli interventi più idonei atti a contrastarla e prevenirla. Svantaggio sociale, violenza subita in forma diretta o assistita durante l’infanzia, precedenti comportamenti violenti all’interno della relazione, concetto di proprietà rispetto alla partner, possesso di armi, disturbi di salute mentale e di personalità, precedenti penali, abuso di sostanze, sono ritenuti tra i maggiori fattori di rischio(1); non va però mai tralasciata la matrice culturale. Infatti in ogni situazione di violenza o di uxoricidio si ritrovano le idee preconcette riguardo ai ruoli all’interno della famiglia e l’assenza del rispetto della personalità altrui. Il rischio di recidiva della violenza domestica può raggiungere anche il 70 per cento in due anni ed è perpetuata da individui che, più che di problemi psichiatrici, soffrono di una “patologia sottoculturale”, con una visione distorta delle relazioni fra il genere maschile e femminile(2). Anche la malattia mentale, per quanto in alcuni casi venga contemplata tra i fattori correlati agli atti violenti, non può da sola esserne l’unica spiegazione: è indicativo che in genere queste forme di violenza siano rivolte esclusivamente contro la persona con cui si ha un rapporto intimo. Le risposte vanno ricercate anche nel contesto sociale e culturale. I serial killer, ad esempio, come evidenziato da una ricerca statunitense, si sentono più “a proprio agio” in quegli stati in cui la violenza è socialmente legittimata con scarsa o nulla attenzione ai diritti delle vittime (DeFronzo J, Prochnow J, 2004). La responsabilità principale resta comunque dell’individuo con le proprie credenze e le proprie decisioni rispetto alle azioni e per fortuna sono tanti gli uomini non violenti che rifiutano la “sottocultura” del controllo e del dominio. Un’ampia letteratura psicosociale descrive come le donne presentino un’alterata percezione del loro vissuto sottostimando la discriminazione subita e per meglio affrontare le situazioni stressanti e dolorose, sviluppano strategie di coping in linea con le aspettative sociali: la negazione della violenza, ad esempio, è la classica modalità difensiva che, per quanto ambigua, è sempre meno minacciosa per il sé(3). Anche nella violenza domestica infatti, come in tutti i rapporti di oppressione, si verifica quella che Nicole Claude Mathieu definisce “anestesia della coscienza”(4). Più autori hanno studiato anche i comportamenti violenti agiti da donne. Da una ricerca statunitense svolta su 6704 individui, maschi e femmine, arrestati per aggressione verso la/il partner, è emerso che per quel che riguardava le donne il comportamento violento presentava caratteristiche di non premeditazione ma di difesa di fronte alla violenza subita. Le donne inoltre non avevano precedenti (Henning K, Feder L, 2004). C’è dunque una differenza quantitativa e qualitativa. Il genere maschile mette in atto una violenza sistematica, di tipo fisico ma anche psicologico, con isolamento, intimidazione e controllo, caratterizzata da una escalation che Johnson definisce terrorismo patriarcale (Johnson MP, 1994). Alcune teorie attribuiscono l’origine del comportamento violento maschile a motivi naturali, genetici, ormonali. Ma, come per le violenze sessuali, il rischio è che vengano ritenute una conseguenza di impulsi incontrollabili; la spiegazione biologistica potrebbe celare la realtà della violenza e la responsabilità dell’autore della stessa. Decenni di ricerche sperimentali in psicologia sociale hanno inoltre dimostrato che l’esposizione alla pornografia altera la percezione e i comportamenti dei soggetti rendendoli, in alcuni casi, meno sensibili alla sofferenza altrui o più propensi a trovare accettabili pratiche violente e degradanti (Romito P, 2008). È il caso di partner, padri o fratelli, familiari o conoscenti che agiscono violenza sessuale a danno anche di minori e perseverano ricorrendo alle minacce e al ricatto. La ricerca Istat 2007 rivela che i maggiori responsabili della violenza sessuale sono i partner, nel 70 per cento a subirla sono le donne, di queste il 24 per cento è costretto a rapporti indesiderati e il 3,1 a rapporti con altre persone. Lo stupro “moderno”, tra l’altro, per mantenere lo stato di controllo ricorre al ricatto di divulgare foto compromettenti. L’atto violento include sempre e comunque la responsabilità di chi lo agisce e occorre fare molta attenzione alla frequente psicologizzazione, che contribuisce a mantenere lo status quo e i rapporti di potere dominanti: se i comportamenti violenti vengono attribuiti a problemi psicologici o biologici si rischia una de-criminalizzazione del reo e una naturalizzazione dell’atto. È necessario esaminare la realtà correttamente per leggerla, capirla e agire su di essa.
(1) Baldry AC. Dai maltrattamenti all’omicidio. La valutazione del rischio di recidiva e dell’uxoricidio. Milano: FrancoAngeli, 2006.
(2) Merzagora Betsos I. Uomini violenti, i partner abusanti e il loro trattamento. Milano: Raffaello Cortina Editore, 2009.
(3) Romito P. Un silenzio assordante. La violenza occultata su donne e minori. Milano: FrancoAngeli, 2008.
(4) Mathieu NC. L’Anatomie politique : catégorisations et idéologies