Archive for luglio, 2012
Un'altra Donna. L'impudenza dello sguardo.
Nel cinquantesimo anniversario della scomparsa (il 5 agosto 1962) torna il monologo Bye Baby Suite scritto da Chiara Guarducci e diretto e recitato da Alessia Innocenti, per l’occasione in una suite dell’Albergo Pietrasanta al Festival della Versiliana.
Con l’occasione sarà esposta la serie fotografica After the last sitting, il tributo mio e di Alessia alla leggendaria ultima seduta fotografica di Marilyn con il fotografo Bert Stern.
Le date: 2/3/4/5 Agosto ore 21 e 22,15.
Prenotazioni allo 0584265757 oppure on line dal sito TicketOne.
Io sto con Antonio Ingroia
Anche noi siamo partigiani della Costituzione!
La dichiarazione del magistrato Antonio Ingroia
(“Confesso, non mi sento un magistrato del tutto imparziale, ma un partigiano della Costituzione. Tra chi la difende e chi, quotidianamente, cerca di violarla, violentarla, stravolgerla, so da che parte stare.”)
che in un paese civile sarebbe stata giudicata quasi ovvia,… ha suscitato invece scandalo.
Chi lo accusa dovrebbe spiegarci: da che parte dovrebbe stare un magistrato se non da quella della legge fondamentale dello Stato?
Qualcuno potrebbe obiettare che se criticabile non è il contenuto della dichiarazione, lo è invece la sede nella quale è stata pronunciata: il congresso di un partito, non un partito qualunque ma lo “scandaloso” partito comunista (il Pdci, per l’esattezza).
Anche qui si preferisce esultare per la smoking gun, un’ulteriore prova dell’esistenza delle toghe rosse, dimenticando che la Costituzione riconosce a tutti, anche ai magistrati, il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero.
Ma chi ha gridato allo scandalo non sembra preoccuparsi troppo della Costituzione.
Noi ce ne preoccupiamo, invece, e anche noi ci dichiariamo con orgoglio “partigiani della Costituzione”.
Un articolo illuminante, da leggere e diffondere, del premio Nobel Paul Krugman, uscito in questi giorni sul New York Times. Come è ormai chiaro a tutti Krugman spiega perché le politiche di austerity non hanno senso dal punto di vista economico, al contrario: l’austerity è solo la scusa per smantellare i programmi sociali su scala globale. Ecco l’articolo:
L’AGENDA DELL’AUSTERITY
“Il tempo giusto per le misure di austerità è durante un boom, non durante la depressione”. Questo dichiarava John Maynard Keynes 75 anni fa, ed aveva ragione. Anche in presenza di un problema di deficit a lungo termine (e chi non ce l’ha?), tagliare le spese quando l’economia è profondamente depressa è una strategia di auto-sconfitta, perché non fa altro che ingrandire la depressione.
Allora come mai la Gran Bretagna (e l’Italia, la Grecia, la Spagna, ecc. NDR) sta facendo esattamente quello che non dovrebbe fare? Al contrario di paesi come la Spagna, o la California, il governo britannico può indebitarsi liberamente, a tassi storicamente bassi. Allora come mai sta riducendo drasticamente gli investimenti, ed eliminando centinaia di migliaia di lavori nel settore pubblico, invece di aspettare che l’economia recuperi?
Nei giorni scorsi, ho fatto questa domanda a vari sostenitori del governo del primo ministro David Cameron. A volte in privato, a volte in TV. Tutte queste conversazioni hanno seguito la stessa parabola: sono cominciate con una metafora sbagliata, e sono terminate con la rivelazione di motivi ulteriori (alla ripresa economica NDR).
La cattiva metafora – che avrete sicuramente ascoltato molte volte – equipara i problemi di debito di un’economia nazionale, a quelli di una famiglia individuale. La storia, pressappoco è questa: Una famiglia che ha fatto troppi debiti deve stringere la cinghia, ed allo stesso modo, se la Gran Bretagna ha accumulato troppi debiti – cosa che ha fatto, anche se per la maggior parte si tratta di debito privato e non pubblico – dovrebbe fare altrettanto!
Cosa c’è di sbagliato in questo paragone?
La risposta è che un’economia non è come una famiglia indebitata. Il nostro debito è composto in maggioranza di soldi che ci dobbiamo l’un l’altro; cosa ancora più importante: il nostro reddito viene principalmente dal venderci cose a vicenda. La tua spesa è il mio introito, e la mia spesa è il tuo introito.
E allora cosa succede quando tutti, simultaneamente, diminuiscono le proprie spese nel tentativo di pagare il debito? La risposta è che il reddito di tutti cala – il mio perché tu spendi meno, il tuo perché io spendo meno.- E mentre il nostro reddito cala, il nostro problema di debito peggiora, non migliora.
Questo meccanismo non è di recente comprensione. Il grande economista americano Irving Fisher spiegò già tutto nel lontano 1933, e descrisse sommariamente quello che lui chiamava “deflazione da debito” con lo slogan:”Più i debitori pagano, più aumenta il debito”. Gli eventi recenti, e soprattutto la spirale di morte da austerity in Europa, illustrano drammaticamente la veridicità del pensiero di Fisher.
Questa storia ha una morale ben chiara: quando il settore privato sta cercando disperatamente di diminuire il debito, il settore pubblico dovrebbe fare l’opposto, spendendo proprio quando il settore privato non vuole, o non può. Per carità, una volta che l’economia avrà recuperato si dovrà sicuramente pensare al pareggio di bilancio, ma non ora. Il momento giusto per l’austerity è il boom, non la depressione.
Come ho già detto, non si tratta di una novità. Allora come mai così tanti politici insistono con misure di austerity durante la depressione? E come mai non cambiano piani, anche se l’esperienza diretta conferma le lezioni di teoria e della storia?
Beh, qui è dove le cose si fanno interessanti. Infatti, quando gli “austeri” vengono pressati sulla fallacità della loro metafora, quasi sempre ripiegano su asserzioni del tipo: “Ma è essenziale ridurre la grandezza dello Stato”.
Queste asserzioni spesso vengono accompagnate da affermazioni che la crisi stessa dimostra il bisogno di ridurre il settore pubblico. Ciò e manifestamente falso. Basta guardare la lista delle nazioni che stanno affrontando meglio la crisi. In cima alla lista troviamo nazioni con grandissimi settori pubblici, come la Svezia e l’Austria.
Invece, se guardiamo alle nazioni così ammirate dai conservatori prima della crisi, troveremo che George Osborne, ministro dello scacchiere britannico e principale architetto delle attuali politiche economiche inglesi, descriveva l’Irlanda come “un fulgido esempio del possibile”. Allo stesso modo l’istituto CATO (think tank libertario americano) tesseva le lodi del basso livello di tassazione in Islanda, sperando che le altre nazioni industriali “imparino dal successo islandese”.
Dunque, la corsa all’austerity in Gran Bretagna, in realtà non ha nulla a che vedere col debito e con il deficit; si tratta dell’uso del panico da deficit come scusa per smantellare i programmi sociali. Naturalmente, la stessa cosa sta succedendo negli Stati Uniti.
In tutta onestà occorre ammettere che i conservatori inglesi non sono gretti come le loro controparti americane. Non ragliano contro i mali del deficit nello stesso respiro con cui chiedono enormi tagli alle tasse dei ricchi (anche se il governo Cameron ha tagliato l’aliquota più alta in maniera significativa). E generalmente sembrano meno determinati della destra americana ad aiutare i ricchi ed a punire i poveri. Comunque, la direzione delle loro politiche è la stessa, e fondamentalmente mentono alla stessa maniera con i loro richiami all’austerity.
Ora, la grande domanda è se il fallimento evidente delle politiche di austerità porterà alla formulazione di un “piano B”. Forse. La mia previsione è che se anche venissero annunciati piani di rilancio, si tratterà per lo più di aria fritta. Poiché il recupero dell’economia non è mai stato l’obiettivo; la spinta all’austerity è per usare la crisi, non per risolverla. E lo è tutt’ora.
Paul Krugman
Sanzioni per chi non rispetta i tempiL’emendamento al decreto Sviluppo. Oggi il voto di fiducia.
ROMA — Tempi duri per il pubblico dipendente che non completi un procedimento nei tempi prescritti. Un emendamento al decreto Sviluppo, presentato dai relatori Alberto Fluvi (Pd) e Raffaello Vignali (Pdl) con il parere favorevole del governo e approvato in commissione, introduce il suo immediato deferimento ai fini della valutazione che conduce alla sanzione.
Un inasprimento di quanto già previsto dal decreto Semplificazioni di febbraio, che aveva innovato introducendo la figura del dirigente con potere sostitutivo nei confronti del dipendente che non rilasci atti nei tempi previsti. Un sostituto attivabile dal cittadino con denuncia. La norma di cinque mesi fa stabiliva che, a fine anno, il dirigente dovesse tirare le somme rispetto ai dipendenti ritardatari, facendo scattare le sanzioni.
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In quarta elementare, quando le maestre proposero alla classe d’interpretare l’ennesima fiaba di Andersen per la recita di fine anno, un gruppetto di scolarette dissidenti di cui facevo orgogliosamente parte alzò la mano in segno di protesta.
Era il 1993. Le nostre insegnanti sgranarono gli occhi. Noi, con l’impertinenza tipica dei nove anni, ribattemmo che no, non volevamo saperne di principi e principesse. «Benissimo» risposero loro «organizzatevela voi, la recita “alternativa”».
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Il ricatto di Mancino e i dubbi sullo scontro Napolitano-Procura di Palermo
Un’altra cosa che non capisco è se questo potere che si arroga Mancino dipenda dal caso particolare o dal poco rispetto di alcuni esponenti politici verso le istituzioni. Mi spiego meglio: è fatto storico che le istituzioni di questo paese siano state utilizzate da più di un loro esponente per scopi che di istituzionale avevano ben poco, ma forse – come scriveva qualche giorno fa Valter Rizzo sul Fatto Quotidiano – il problema non è nelle istituzioni in quanto tali, ma negli individui chiamati a rappresentarle. «sono personalmente convinto» – scriveva Rizzo– «che entrambi [gli ex presidenti Einaudi e Pertini, ndr], di fronte a telefonate come quelle di Mancino avrebbero attaccato il telefono, mandando l’interlocutore a farsi benedire. Perché l’attuale inquilino del Quirinale non l’ha fatto?»
A questo punto qualcuno potrà obiettare che il problema reale riguarda la distruzione delle intercettazioni medesime, stanti l’articolo 90 della Costituzione e l’articolo 7 della legge numero 219 del 5 giugno 1989. Ma allora per quale motivo la stessa irritazione Napolitano non l’ha mostrata – come ha scritto Giuseppe Caporale su Repubblica – anche nel 2009, quando il Raggruppamento operativo speciale di Firenze ha ascoltato una telefonata di Napolitano a Guido Bertolaso, intercettato nell’ambito dell’inchiesta sul G8 alla Maddalena. Nelle due telefonate Napolitano chiede notizie delle vittime ed organizza la sua doppia visita ne L’Aquila del dopo terremoto. «Le intercettazioni di Napolitano tuttora sono contenute in un cdrom che non è stato mai formalmente sbobinato, ma che è comunque a disposizione delle parti», scrive Caporale.
Che forse quelle intercettazioni non abbiano solleticato i nervi dell’inquilino del Quirinale perché in quelle due telefonate Napolitano fa buona impressione mentre in quelle di Palermo no? Le intercettazioni fiorentine non hanno poi avuto alcuna rilevanza penale, così come quelle palermitane, stando a quanto riferito ai mezzi di informazione da Messineo ed Ingroia. Allora perché questo diverso trattamento? Comportandosi in maniera così stizzita, il Presidente della Repubblica non fa altro che alimentare l’ipotesi secondo la quale nelle conversazioni con Mancino ci siano delle cose “losche” – seppur irrilevanti a fini penali – delle quali è bene tenere all’oscuro l’opinione pubblica. Ipotesi che, naturalmente, in questo momento non può essere né confermata né smentita. Non vorrei che alla fine avesse davvero ragione Salvatore Borsellino, che ci sia cioè bisogno di «difendere i magistrati vivi, che potrebbero essere i prossimi ad essere uccisi». Antonio Ingroia, intanto, sono già riusciti a toglierlo dalle indagini sulla trattativa, avendo ormai dato per certo il suo prossimo impiego – annuale – in Guatemala.
Non vorrei, infine, che questo lavoro ai fianchi di una parte delle istituzioni verso il pool di Palermo sia una nuova edizione di quel vecchio tentativo di frenare quello stesso gruppo di magistrati quando a farne parte era Giovanni Falcone, il cui lavoro veniva spesso accusato di crear danno all’economia siciliana, dove al posto dell’economia oggi da tutelare c’è il sistema degli equilibri istituzionali.
(foto: ienesiciliane.it) Andrea Intonti [http://senorbabylon.blogspot.it]