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Amare senza farsi male. Storie di donne e di uomini per imparare ad amare in due

Copertina anteriore
Terra Nuova Edizioni, 2016
Nelle favole, le storie d’amore hanno spesso un lieto fine dove tutti vivono felici e contenti. Al di fuori della finzione, l’amore è un alternarsi di gioie e delusioni, e spesso la paura di soffrire impedisce di vivere con serenità la propria passione amorosa. Che cosa fare, allora? Nel libro Nives Favero, forte della sua esperienza di psicoterapeuta, presenta le testimonianze di alcuni amanti che non si sono arresi di fronte alle difficoltà e nel tempo hanno costruito relazioni di coppia durature. Non esistono verità assolute sull’amore ma solo storie esemplari come quelle raccolte in queste pagine. Senza dimenticare una premessa fondamentale: dobbiamo prima di tutto amare noi stessi per donare il nostro cuore agli altri.

Per riuscire ad avere un rapporto positivo, non solo di coppia, ma anche tra genitori e figli ed anche tra amici, l’autrice del libro ci dice che occorre porre in essere quattro condizioni:

– Volersi fare del bene

– Mettersi sempre in discussione

– Dire le cose chiaramente

– Ringraziare l’altro

 

 

Maschi smettiamola di tacere sulla violenza contro le donne

Di fronte a stupri, femminicidi e prevaricazioni non abbiamo parole ma solo alibi. Ora basta. Dobbiamo cominciare a parlarne apertamente. Per educare sentimentalmente i bambini. E provare a fornire delle risposte

DI PAOLO DI PAOLO

25 settembre 2017

 

 Maschi smettiamola di tacere sulla violenza contro le donne  

Un uomo violento rappresenta sé stesso e nessun altro. La sua violenza, invece, riguarda anche me. Scrivo queste parole con disagio, con imbarazzo, con vergogna. Ma non sposteremo avanti di un millimetro il discorso pubblico, se non saranno anche gli uomini a parlare – a parlare apertamente, responsabilmente – delle violenze che le donne subiscono. Trovare sui giornali, in rete, decaloghi rivolti alle ragazze sul “come difendersi” è penoso. È necessario sì, ma direi che soprattutto è penoso. L’idea stessa che una donna debba essere allenata a difendersi dalle attenzioni, dalle pressioni psicologiche, dal desiderio sessuale, dalle mani di un uomo, è penosa. Ma se questo è vero, se – in Italia, nel 2017 – è necessario, io non posso fingere che non mi riguardi.

VEDI ANCHE:

Ogni due giorni una donna viene uccisa dal compagno. I numeri della violenza di genere

Lo scorso anno le vittime di femminicidio sono state 120. Sette milioni di donne hanno subito qualche forma di violenza nel corso della loro vita. L’analisi dell’Istat e del Ministero della Giustizia ci mostra i numeri di un massacro che non si arresta nonostante la legge del 2013. E intanto i centri antiviolenza chiudono i battenti

Quelli che minimizzano (maschi, naturalmente) fanno notare che le violenze e i casi di stupro sono in calo. L’Italia è all’ultimo posto in Europa per il numero di violenze sessuali? Anche fosse, il discorso non cambierebbe di una virgola. A ogni modo, restiamo alle statistiche: da uno studio condotto su un campione di oltre 700 studenti delle scuole secondarie di secondo grado, risulta che più di una ragazza su dieci ha subito esperienze di violenza all’interno della coppia prima dei diciotto anni. Sedici intervistate su cento hanno parlato di violenze psicologiche e di «persistenti comportamenti di dominazione e controllo»; il 14 per cento dice di avere subito violenze o molestie sessuali. «Quando si pensa alla violenza di genere, si è soliti immaginare coppie adulte, sposate o che convivono; in realtà, esperienze simili si possono verificare anche fra giovani e giovanissimi che stanno scoprendo le relazioni di coppia spesso per la prima volta», ha fatto notare la psicologa Lucia Beltramini, fra i partecipanti a un convegno sulla prevenzione della violenza di genere e sui percorsi di uscita, in programma a Rimini il 13 e il 14 ottobre. Buona occasione, forse, per mettere al centro del discorso i maschi giovani e giovanissimi.

* * *

Il discorso sulla violenza di genere è come bloccato in un frasario fisso. È bloccato nel paradosso per cui vittime e vittime potenziali si trovano sole due volte. Sole nel difendersi – sole come quando tornano a casa di notte e hanno addosso una paura che non dovrebbero avere, che non è giusto che abbiano. Sole nel racconto della violenza, della paura della violenza, del come difendersi dalla violenza. Gli uomini tacciono, imbarazzati. Conosco quell’imbarazzo, è anche mio. Che cosa posso dire? Che cosa posso aggiungere? Temo di essere inopportuno, retorico: il paladino di una falsa buona coscienza. Ma questo nostro silenzio imbarazzato – di noi uomini, voglio dire – rischia di diventare un alibi. Un alibi personale e collettivo. Una rinuncia (preventiva e rassicurante) a porre a me stesso, agli uomini che ho intorno – i padri, i fratelli, i figli – domande che non cancellano quell’imbarazzo, ma anzi lo intensificano, e in parte lo chiariscono.
VEDI ANCHE:

Chiara Saraceno: ‘Il maschilismo ormai è sdoganato’

Dagli ombrelli per coprire i politici al sindaco che definisce bambinata lo stupro di gruppo, il sessismo è diventato talmente diffuso da diventare normalità.  «E la battaglia è sempre più difficile perché si nutre della presunzione che in fondo alle donne vada bene così». Parla la sociologa
Non hai mai alzato le mani su una donna, va bene. Non sei un violento. Ma quella volta che le hai urlato contro, più del normale? Stavamo litigando. Quando si litiga, si alza la voce. Sì, però forse hai esagerato. Sei stato violento con le parole. O hai preso a pugni il muro, la macchina, hai fatto volare un oggetto. E quella volta che hai insistito, che sei stato pressante, che non hai saputo contenere il tuo desiderio? Quella volta che hai esagerato, facevi il cretino con quella ragazza, ma sei andato oltre, con lo sguardo invadente, con le parole giocose e viscide? E quella volta che la gelosia ti ha annebbiato, ti ha preso alla gola, ti ha dettato le frasi possessive e ricattatorie di un “aut aut”?

* * *

È difficile, direi quasi impossibile, che un essere umano maschio non conosca e non abbia almeno sfiorato questa o quella forma di prepotenza. La spia di un radicatissimo sentimento gerarchico dei rapporti fra sessi. Una spinta a dominare, a controllare, a pensare una relazione in termini di possesso. Solo la cultura, l’educazione possono correggere, provare a correggere. Fondare, per chi cresce ora, basi diverse di “educazione sentimentale”. Suona retorico? Non vedo altra possibilità, e forse non c’è. Non è facile? No, non lo è. Ma esistono alternative? Ci preoccupiamo che le bambine crescano ribelli il giusto. Non ci preoccupiamo abbastanza di come crescono i bambini. E invece a loro dovremmo guardare, parlare. A loro dovremmo fare domande, provare con loro a costruire risposte.

VEDI ANCHE:

“Molestie? Ma no, è solo goliardia” Così non fermiamo le violenze di genere sul lavoro

Le avances insistenti, le battute o i gesti degradanti di un capo, o un collega, in ufficio, sono molto più diffusi di quanto non sembri. Semplicemente perché “in Italia l’asticella è molto alta. La maggior parte delle donne sopportano, e stanno zitte. E la precarietà, di certo, non aiuta”. Tatiana Biagioni, presidente degli avvocati giuslavoristi italiani, racconta cosa dovrebbe cambiare

Alla luce di un grande successo editoriale – Storie della buonanotte per bambine ribelli di Elena Favilli e Francesca Cavallo, tuttora in classifica – mi è capitato di suggerire a qualche editor la necessità di un libro parallelo, qualcosa come Storie del buongiorno per bambini gentili. Favilli&Cavallo presentano modelli come Serena Williams e Rita Levi Montalcini, come Frida Kahlo, Margherita Hack, Michelle Obama e Malala Yousafzai, la più giovane premiata con il Nobel per la pace. Niente da obiettare, se non su un piano stilistico: si poteva scrivere forse un po’ meglio. Un libro parallelo per bambini (e padri) quali figure potrebbe presentare? Ne troveremmo? Voglio sperare di sì. E comunque: allarghiamo il campo, non riduciamolo a un discorso interno ai generi. Se da un lato è fondamentale che una bambina sviluppi presto la coscienza, il sentimento della propria indipendenza, della dignità assoluta e intoccabile dei propri desideri, delle proprie ambizioni, della propria intelligenza, del proprio corpo, dall’altro lato non può esserci il vuoto. I bambini (maschi) dove sono? E i loro modelli (sbagliati da secoli)? L’effetto di quel vuoto si rende visibile quando è troppo tardi: quando la ragazza “ribelle” – pur allenata a essere tale – non è riuscita a difendersi.

 

 

http://espresso.repubblica.it/

Giovani uomini che non sanno dare un senso al vivere

perché non è stato loro insegnato.

Pieni di dolore, insoddisfazione, rabbia.

Facili prede

Giovani che soccombono alla vita.

Giovani uomini non considerati, non rispettati,

che a loro volta non considerano, non accolgono,

non rispettano

fino ad arrivare ad uccidere, ad uccidersi!

Tutto il mondo è responsabile!

Il mondo intero,

quello occidentale e quello orientale.

Il rispetto e l’accoglienza vanno al di là di tutto,

al di là delle questioni economiche e strategiche.

Siamo tutti responsabili

La classe politica ne prenderà mai coscienza?

O ipocritamente continuerà a blaterare,

attentato dopo attentato,

invocando leggi più repressive e restrittive

per cercare di garantire più sicurezza.

Dobbiamo difenderci

Certamente

Ma dobbiamo difenderci dalle imposizioni economiche e politiche

che minano la nostra vita e la nostra libertà,

che ci riducono a numeri,

che ci rendono vuoti,

in un perenne stato 

di non-sense. 

Il nostro vivere è così mutato!

E’ impersonale, virtuale, digitale, ansioso, di perenne urgenza.

Le emozioni sono compresse,

tenute lontano dal pensiero,

da noi.

Non ci prendiamo più il tempo necessario per esserne consapevoli

per sedimentare i sogni,

per sperimentare, per godere.

E’ solo un continuo correre dietro a non si sa cosa.

Pieni di rancore, ansia e disperazione, 

non sappiamo più amare.

Mio padre se ne è andato nel sonno nelle prime ore della mattina di domenica 22 maggio 2016 a casa, il primo maggio aveva compiuto 94 anni. Fino alla fine è stato lucido e quindi consapevole. E’ stata dura per lui e per noi.

Siamo riusciti a farlo restare a casa, come era suo desiderio, ma non siamo riusciti a risparmiargli il dolore. Per gli ultimi due mesi di vita non c’è stato giorno in cui non abbia invocato misericordia e carità, in cui non ci abbia detto che voleva morire. Solo tre giorni prima di morire, rendendosi conto che era arrivato alla fine, mi ha detto che non era pronto, che voleva restare con noi.  

Con rabbia devo dire che siamo stati lasciati soli, che le strutture sanitarie di base, il medico curante in prima linea, non ci hanno fornito l’informazione adeguata relativamente al diritto che una legge dello stato (Legge 15 marzo 2010, n. 38 –  “ Disposizioni per garantire l’accesso  alle cure palliative e alla terapia del dolore”) conferisce ai malati terminali e cronici di ricevere giuste cure per trascorrere gli ultimi giorni di vita in modo dignitoso e sereno.

Ho deciso pertanto di condividere tutto questo perché penso che della morte è giusto parlare perché è parte integrante della vita, basti pensare che alla nascita, tra vivere e morire, è solo questione di una frazione di secondi.

Non è un caso che le cure palliative siano state pensate da una donna, Cicely Saunders, infermiera qualificata, medico e assistente sociale. Con un autentico humour inglese, si definiva un one-women multiprofessional team. Riuniva infatti in una sola persona le tre più importanti professionalità dell’accompagnamento alla morte. ( “SAPER MORIRE – Cosa possiamo fare, come possiamo prepararci – Gian Domenico Borasio ).

Le donne hanno familiarità da sempre con il dolore, la sofferenze e la morte perché danno la vita. La forza interiore delle donne è immensa ed è per questo che riescono da sempre a gestire meglio il dolore. Le donne non si tirano indietro quasi mai.

In questa nostra società in cui tutti ci crediamo immortali, tutti dobbiamo essere giovani il più a lungo possibile, tutti dobbiamo essere belli, non c’è posto per la sofferenza, per il dolore, per la morte. Ma sofferenza, dolore e morte fanno parte della vita, come la gioia, la serenità, e tutti quei piccoli momenti di felicità che ognuno di noi ha la fortuna di assaporare.

Penso che sia arrivato però il momento di fermarsi a riflettere, di riconoscere che non si può correre all’infinito, che questo nostro modello di sviluppo che ci ha portato, tra le tante altre cose, ad ammalarci di una serie di malattie, dovute proprio al troppo benessere, che ci fanno poi morire, non è più sostenibile.

Occorrerebbe che ognuno di noi imparasse ad abbracciare anche la parte più buia della vita, per poterla illuminare. Basta una piccola fessura per far entrare la luce: per dare spazio alla luce serve la conoscenza e la conoscenza la possiamo fare nostra solo abbracciando tutte le situazioni che la vita di volta in volta ci pone davanti.

La morte ci coglierà sempre all’ improvviso ma cerchiamo di esserne consapevoli per poter concludere i nostri giorni con dignità e serenità.

Ps. I recapiti delle unità di cure palliative e degli hospice italiani sono reperibili presso gli indirizzi pubblicati sul sito web della                                                                                           Società Italiana di Cure Palliative (www.sicp.it /web/eventi/SICP/reticp.cfm)   e della               Federazione Cure Palliative ( www.fedcp.org/cure-palliative/hospice.in-italia.html )       

 

 

Questo è quanto scrive Lorella Zanardo sulla sua pagina facebook.

SOSTENIAMO IL SUO PROGETTO

Il corpo delle donne

HO un PROGETTO
Ho un progetto per un video/ documentario su un soggetto urgente quanto lo fu Il Corpo delle Donne.
Abbiamo scritto il soggetto, così bello che mentre scrivo, fremo dall’emozione.
Come è mio costume, il tema è utile, offre spunti di riflessione che servono a vivere meglio, ad uscire dalle gabbie, a fare un salto di qualità nelle nostre vite.
E’ un soggetto che interessa le donne, ma anche gli uomini.
Ed è un tema universale: interesserebbe l’ Italia ma anche il mondo.
Offre una riflessione “alta” ma accessibile a tutte e tutti, come fu con Il Corpo delle Donne.

Ci serve un finanziamento.
Tra voi che leggete ci sono donne e uomini che lavorano nelle Fondazioni, Banche, Aziende, Enti.
Cosa offriamo?
Il Corpo delle Donne è arrivato a più di 12 milioni di persone, di cui circa 5 milioni all’estero.Normalmente un documentario arriva a qualche centinaio di migliaia di persone.
Ha provocato coscienze, riflessioni, convegni, eventi, premi, migliaia di interventi nelle scuole, nelle università del mondo, a festival. Sono state scritte tesi, libri, documentari che ne hanno parlato.
Chi ci sostiene, avrà il proprio marchio che si diffonderà insieme al nostro lavoro comunicando che sostenete un’opera che non è solo arte ma un’azione concreta di cittadinanza attiva.
Pubblicità buona e pulita per voi. Che è molto di questi tempi.
Noi chiediamo autonomia di azione, libertà di espressione.

Con il costo di 5 o 6 passaggi di spot pubblcitari in televisione, potete sostenere un’opera che potrebbe fare molto bene. E diffondersi parecchio. E provocare cambiamenti grandiosi.

Pensateci.
Se siete interessate/i a parlarne scrivetemi qui: lorellaz@ilcorpodelledonne.net
grazie

CARE TRENTENNI: SI può VIVERE senza l’APPROVAZIONE MASCHILE

Da quando è uscito il documentario “Il Corpo delle Donne” ho avuto modo di notare che c’è un segmento della popolazione femminile, direi trentenni fino ai quaranta, spesso laureate e apparentemente emancipate, che interviene ai dibattiti con puntualizzazioni molto simili, da Roma a Milano, da Napoli a Trento.
Dapprima queste giovani donne arricchiscono il dibattito con esperienze personali: recentemente una di loro raccontava di come si fosse sentita chiedere ad un colloquio per un posto di lavoro, se nei suoi piani ci fosse un figlio. Indignata la ragazza aveva reagito duramente alla domanda discriminatoria, si era ribellata con forza.
Quando poi avevo ripreso la mia esposizione inserendo il suo commento all’interno di uno scenario ampio, e cioè quello di un Paese misogino con un patriarcato duro a morire, con un Gender Gap Index a livelli primitivi, con un divario salariale del 30% tra uomini e donne, con una televisione pubblica e privata che non ha pari quanto a discriminazione di genere in Europa, e per questo avevo concluso, è necessario reagire, ecco allora avevo visto la giovane donna muoversi con fastidio sulla sedia e poi sbottare con un “Sì, va bene. Ma questa lotta non la definirei femminista, che è superata. Io posso fare ciò che voglio nella mia vita. E poi questa battaglia noi, della mia generazione, la vogliamo fare con gli uomini, insieme.”E a questo punto la giovane donna lanciava uno sguardo al resto della platea di coetanee e tutte sì, annuivano fiere. Loro la battaglia la vogliono fare con i loro compagni e con gli uomini tutti.
Questa scena si ripete spesso.
All’inizio provavo un senso di com-passione e compresione verso chi interveniva: immaginavo la rabbia e lo scoramento di chi si laureava, frequentava un post-doc, si dava da fare per poi trovarsi a combattere contro stereotipi vecchi come il mondo.
Successivamente a questi sentimenti si è aggiunto un sottile fastidio.
Ho letto in questi commenti un sottotesto, un non-detto che si esprime spesso in mezzi sorrisi, in sguardi sfuggenti, in occhiate solidali tra pari.
Gli sguardi dicono ” Noi cara Zanardo, siamo giovani. Sì, c’è qualche problema ma si risolveranno. Noi non siamo “come voi”. Noi siamo comunque vincenti. Noi piacciamo.”
Questo pensiero si comprende, e per quanto mi riguarda, si giustifica facilmente. Nella nostra società la figura femminile di riferimento a livello mediatico è la giovanissima. Moda, televisione, pubblicità hanno adottate le giovani e giovanissime come testimonials. Ne consegue che chi è giovane si sente spesso al centro dell’attenzione sociale. Questa è un’attenzione spesso apparente, lo sappiamo, alle immagini non seguono poi fatti concreti e le ragazze restano marginali nella società.
Ma ciò che “appare” è una festa continua della gioventù delle donne, la realizzazione per il maschio italiano tipo: avere una giovane donna da mostrare.
Quindi nonostante all’attenzione mediatica non seguano fatti di apprezzamento reale verso le giovani, queste, e lo si comprende, si sentono al centro dell’attenzione sociale.
L’ho visto concretamente tempo fa all’interno della redazione di un quotidiano: tutti i capi ultracinquantenni ma giovanilisti, tutte le giornaliste in redazione trentenni graziosissime e in qualche modo fiere di piacere ai capi cinquantenni.
Che, come prevedibile in Italia, non concedono poi loro alcuna autonomia reale e pochissimo spazio nel giornale.
Si è creato dunque in Italia un legame molto poco sano e poco proficuo per una delle due parti, tra i maschi alfa di potere e alcune giovani trentenni di buone speranze.
E’ un legame taciuto, forse nemmeno portato a coscienza, ma che non ha eguali in altre parti del mondo.
Non si tratta qui del legame, quello vecchio come il mondo, del ricco magnate anziano ma con potere e la giovanissima inesperta alla ricerca di sistemazione.
No.
Qui si tratta di un legame che non ha conseguenze erotico/sessuali o almeno non è questo il punto.
E’ altro: è la chimera, l’illusione, spesso l’imbroglio con cui chi detiene il potere di un Paese, lega a sé un segmento ampio ed interessante della popolazione femminile, senza concedere nulla, ma solo facendo loro credere di essere “importanti”.
L’ho compreso per anni ma ora provo fastidio.
Perché questa solidarietà nascosta e spesso solo simbolica tra uomini maturi e ragazze all’inizio di carriera, è quanto di più malato e castrante ci sia per le donne e purtroppo ne stiamo già vedendo le conseguenze.
Gli uomini in questione sono quelli di uno dei Paesi più arretrati per quanto riguarda il divario di genere e dunque il loro interesse verso un segmento più giovane ed inesperto è frutto di una logica misogina: vi adulo, paiono dire, ma il potere non lo molliamo.
I dati confermano quanto scrivo.
Ma c’è dell’altro.
Questo legame simbolico tra vecchi uomini e giovani trentenni acculturate, reca con sé spesso la rottura del patto intergenerazionale tra donne che è il prezzo che gli uomini di potere chiedono, ed è una richiesta sottesa, alle giovani donne.
Si chiede in pratica, di liberarsi della zavorra delle donne più mature. Quelle che chiedono insomma, quelle che combattono, quelle che si spendono.
La modalità escogitata è semplice: si è cercato di far diventare il tema dei diritti delle donne un tema sfigato, misero.
Si chiama “spirale del silenzio” significa che quando l’agenda dei media esclude un tema in modo insistente, le persone tendono a ritenere tale tema inferiore, poco importante, misero. Ed evitano di parlarne.
A questa spirale le giovani acculturate, non tutte, spesso aderiscono.

E dunque care trentenni, tocca a voi ora comprendere.
Tocca a voi smettere di avere paura di non essere popolari: lo so che è più dura per voi di quanto lo fosse per noi. Lo so che in questa società piacere è un dovere, ma in gioco c’è la vostra vita.
I vostri partner sostengono la vostra battaglia? Ottimo.
Ma non è questa una priorità.
Pensate se Nelson Mandela avesse affermato che solo se i bianchi avessero combattuto con i neri avrebbe intrapreso la lotta.
Quella dei diritti delle donne è la battaglia di noi donne innanzitutto, non perdete tempo in cerca di approvazione, il tempo trascorre veloce e non lo perderei per raggiungere mete facili e illusorie.

L’attenzione degli uomini, pure alfa, non è tutto, mi prendo la libertà di dire che rappresenta poco.
Mi dite talvolta “Lei ha una bella pagina facebook. Però la seguono prevalentemente donne”
La maggior parte delle pagine scritte da uomini sono seguite da uomini, non mi pare che abbia mai rappresentato un problema.

C’è poi un tema spinoso: bisogna avere il coraggio di affrontarlo.
Il non detto è che le donne 50enni, in questa società dove si è stabilito un patto anomalo tra donne trentenni e vecchi uomini di potere, queste “vecchie 50enni” sarebbero in qualche modo gelose dell’attenzione che le giovani suscitano sugli uomini.
Accade nella trasmissione “Uomini e Donne” in tv dove 50 enni si sbranano con quelle che potrebbero essere loro figlie per ottenere l’attenzione di UnoQualsiasi.
Non accade così nella società, succede talvolta. Ma non spesso.
Per molte donne adulte l’ottenimento dell’attenzione da parte di uomini responsabili di un patriarcato pernicioso nel Paese, non rappresenta un obiettivo.
Penso ad alcuni giornalisti, ad alcuni politici con i quali nemmeno sotto tortura molte signore cinquantenni, si accoppierebbero.
Quando si è conquistata maturità, consapevolezza ed autostima, il desiderio è di trovare la compagnia di un partner di valore e di rispetto, nulla di meno.
Coraggio. Ci vuole ora coraggio.
Noi ci siamo, siamo al vostro fianco se vorrete.
Ci vuole comprendere qual è la posta in gioco e cosa prevede il raggiungimento di autonomia, lavoro, parità di diritti.

L’approvazione della classe dirigente nella fase di cambiamento sociale, non è mai stato segno che si stia andando nella giusta direzione.

 
 

Ancora non sono pronta

non sono pronta per la primavera

per le giornate luminose

che sembrano non finire mai

 

E non mi dispiace questa giornata quasi invernale

 

Mi raggomitolo in casa

quasi a proteggermi

da tutto quello che succede fuori

 

E continua a succedere

 

Morti e feriti

disseminati

su tutto il pianeta

 

E non vedo RINASCITE

E non sono pronta

Quelle come me regalano sogni,
anche a costo di rimanerne prive…
Quelle come me donano l’Anima,
perché un’anima da sola è come
una goccia d’acqua nel deserto…
Quelle come me tendono la mano
ed aiutano a rialzarsi, pur correndo il rischio
di cadere a loro volta…
Quelle come me guardano avanti,
anche se il cuore rimane sempre qualche passo indietro…
Quelle come me cercano un senso all’esistere e,
quando lo trovano, tentano d’insegnarlo
a chi sta solo sopravvivendo…
Quelle come me quando amano, amano per sempre…
e quando smettono d’amare è solo perché
piccoli frammenti di essere giacciono
inermi nelle mani della vita…
Quelle come me inseguono un sogno…
quello di essere amate per ciò che sono
e non per ciò che si vorrebbe fossero…
Quelle come me girano il mondo
alla ricerca di quei valori che, ormai,
sono caduti nel dimenticatoio dell’anima…
Quelle come me vorrebbero cambiare,
ma il farlo comporterebbe nascere di nuovo…
Quelle come me urlano in silenzio,
perché la loro voce non si confonda con le lacrime…
Quelle come me sono quelle cui tu riesci
sempre a spezzare il cuore,
perché sai che ti lasceranno andare,
senza chiederti nulla…
Quelle come me amano troppo, pur sapendo che,
in cambio, non riceveranno altro che briciole…
Quelle come me si cibano di quel poco e su di esso,
purtroppo, fondano la loro esistenza…
Quelle come me passano inosservate,
ma sono le uniche che ti ameranno davvero…
Quelle come me sono quelle che,
nell’autunno della tua vita,
rimpiangerai per tutto ciò che avrebbero potuto darti
e che tu non hai voluto…

 

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